La leggenda dei Monti Pallidi, ovvero come le Dolomiti diventarono le montagne più belle del mondo

Siete davanti a uno scorcio qualsiasi delle Dolomiti bellunesi e i vostri nipoti (perché il tempo è inesorabilmente passato) vi chiedono perché esse siano ritenute le montagne più belle del mondo e come abbiano fatto a diventarlo: una fiaba tramandata oralmente (e per questo presente in varie versioni) vi aiuterà a spiegar loro cosa renda le vette dolomitiche tanto speciali, arricchendo con la magia l’aspetto geologico che le caratterizza. Le Dolomiti sono state spesso definite i “Monti Pallidi”, per i toni chiari della dolomia, che dona al gigante chiarore e brillantezza.

Uno scorcio su una cresta dolomitica in Comelico

Si dice che un tempo, in queste valli, vivesse un principe, un giovane la cui passione era esplorare i boschi del regno, ricchi di ruscelli, di spelonche e di creature sconosciute. La sua curiosità lo portava a mancare agli obblighi regali, quasi ogni notte giaceva all’addiaccio, tornava solo quando era esausto o ferito, giusto il tempo di guarire e poi via di nuovo, nella foresta. Il re voleva che si maritasse con una donna prima o poi, ma ogni volta che tentava di combinare le nozze, lui si dava alla macchia.

Al tramonto di un giorno di autunno, l’istinto e la curiosità portarono il principe e il suo cavallo su una strada buia e piena di radici, talmente fitta che le irte montagne dalla roccia scura all’orizzonte non si vedevano nemmeno.

Sentì uno strano piagnucolare e singhiozzare e sporgendosi dal margine della strada, vide sotto le fronde di un larice uno gnomo dalle vesti lacere e inzaccherate.

Col viso tondo e gonfio, lo gnomo spiegò che lui e il suo popolo, abilissimi nel trattare la pietra con la magia, erano stati a lungo nelle viscere delle montagne, nelle miniere di un reame lontano. Esaurite le risorse tutte le miniere, il sovrano reggente li aveva ripudiati e scacciati dal regno.

“Ora non sappiamo più dove andare. Nessuno ci vuole con sé, perché siamo sporchi ed esausti” aveva detto lo gnomo al giovane, che subito concesse loro di stare in quei boschi e di creare nel legno, non nella roccia, la loro nuova casa. Gli gnomi gli promisero che avrebbero ricambiato il favore, anche se nessuna delle due parti sapeva in che modo.

Uno scorcio tra le Dolomiti bellunesi

Il principe continuò i suoi viaggi, spingendosi sempre più ai margini del regno, con incontri ogni volta più incredibili e qualche volta pericolosi: quando li raccontava a corte nessuno gli credeva, nemmeno suo padre, che continuava a chiedersi quando quel giovanotto sarebbe finalmente cresciuto, smettendo di arrampicarsi sulle betulle

Finché una notte, mentre stava dormendo in una radura paludosa, un bagliore destò il principe dal primo sonno: tra i tronchi degli alberi si muoveva veloce un oggetto luminoso a forma di uovo, tanto bianco che a guardarlo non si riusciva nemmeno.

Dalla forma uscì con eleganza un uomo, anch’esso bianco, con una barba lunga fino ai piedi e una tunica anch’essa bianca, con orlature lucenti che al buio attirarono falene e altri insetti. Egli si presentò al principe come un uomo della Luna. Il lunare disse che proveniva da lassù, indicando quella sfera nel cielo, e che era sceso a terra per sapere cosa fossero i colori.

Il principe, che non mancava mai di farsi coinvolgere in qualche affare rischioso, chiese al lunare di portarlo con sé a casa, sulla Luna. Prima di partire raccolse un mazzo di fiori, il più colorato che poteva, per mostrare i colori a quella gente, che non li aveva mai visti. Scoprì che lassù tutto era bianco e perfetto come nel migliore dei sogni.

Il lunare lo portò anche in visita dal sovrano di quel luogo: una creatura dalla forma umana, ma con una barba talmente lunga che faceva due volte il giro del trono. Al suo fianco, lo studiava una fanciulla dai capelli bianchi, talmente bella che il principe non pensò ad altro per tutta la visita al regno. A lei regalò quel variopinto mazzo di fiori che lei tenne a lungo tra le braccia.

Una scultura che interpreta una versione di questa fiaba a Costalta

Esattamente come ci si aspetterebbe a questo punto della storia, principe e principessa si innamorarono perdutamente e il principe sentì il bisogno di ricevere la benedizione del padre portando la sua sposa al suo cospetto. Ma una volta visitato il suo regno sulla Terra, dopo alcune settimane trascorse in quelle terre così buie, nei mesi invernali, la principessa iniziò a star male.

Il cerusico di corte disse che si trattava di una malattia incurabile, che sulla terra noi chiamiamo tristezza, ma che per i lunari pare possa essere mortale. La severa raccomandazione alla principessa fu quella di tornare sulla Luna e dimenticare la Terra e le sue ombre per sempre.


Così il principe deluse di nuovo le aspettative di suo padre, lasciando il regno assieme alla sua lei, per andare a vivere con la sua gente luminosa, nel regno della Luna. Ma anche vivere lì per sempre non poteva essere una soluzione: il biancore, per il principe, col passare dei giorni divenne insopportabile. Gli lacerava gli occhi, rendendolo cieco, e gli causava terribili emicranie di notte come di giorno, fino quasi a farlo impazzire. 

Non rimase altro da fare se non dividersi: lui sulla Terra e lei sulla Luna. Ma quale dolore e quale nostalgia per due amanti che avrebbero rinunciato ai regni l’uno per l’altra. Un giorno il principe, ormai sul punto di diventare re, decise di andare a fare l’ultima delle sue escursioni: si recò fino ai confini del regno, lungo una strada buia e piena di radici. Colto improvvisamente dal panico e dalla tristezza, si lasciò scivolare sotto un larice e iniziò a piangere come quand’era bambino.

Al tramonto di quella stessa sera passò di là una comitiva di gnomi dagli abiti lindi e il sorriso sui volti tondi e paonazzi. Col passare degli anni si erano costruiti un villaggio, attorno al quale la foresta era diventata ancora più rigogliosa di prima. Vedendo il principe così disperato, ricordarono subito quell’antica promessa e si radunarono tutti per capire come onorarla. 

Quando la Luna salì perpendicolare alle montagne, migliaia di gnomi sulle cime degli alberi iniziarono a catturare i suoi raggi di luce. Poi, con qualche strana alchimia, versarono quell’essenza sulle montagne, che da nere e buie che erano, divennero bianche e brillanti.

Così, mentre il principe avrebbe potuto regnare sulla Terra, le montagne sarebbero state cosparse di Luna, consentendo alla principessa di guardarle e sentirsi a casa, nella luce bianca e perfetta del suo luogo d’origine. Nel riunirsi al suo amato, lei riportò sulla terra anche quel mazzo di fiori, che sulla Luna non era appassito, ma era diventato bianco e immacolato. 

Così – dice la leggenda (o una delle leggende, sarebbe meglio dire) – nacquero le Dolomiti, oggi Patrimonio dell’Umanità Unesco e apprezzate da tutto il mondo, dai più piccoli ai meno giovani, per la loro bellezza e unicità.

È bello considerare come questa fiaba attribuisca la nascita delle Dolomiti a un incontro tra mondi diversi, anche apparentemente agli antipodi, e al contempo come si ispiri alla generosità, all’accoglienza e all’amore per la natura. Principi che forse, vista l’attualità di questi temi, dovremmo continuare a raccontare ai nostri bambini.

Un particolare del totem del Monte Zovo in contrasto con la luna

(Fonte: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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