“Che emozione riabbracciare il Maestro Pupi Avati, dopo 10 anni dalla sua visita a casa mia a Pieve di Soligo” commenta Rossella Tramet. È accaduto mercoledì 9 settembre al Lido in occasione della sua premiazione alla Mostra del Cinema.
Gli è stato conferito il premio Bresson perché, “scrittore, produttore cinematografico e regista tra i più prolifici ed eclettici del panorama cinematografico nazionale, è stato capace di cimentarsi con generi espressivi diversi, dall’horror alla commedia famigliare, dall’autobiografia al dramma storico, rivisitati con il diaframma di uno sguardo sempre più lucido, capace di penetrare i sentimenti nascosti e le pulsioni più inconfessabili dell’animo umano”.
Il premio è stato istituito nel ’99 con una valenza fortemente spirituale, ed è stato consegnato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo con il patrocinio della Santa Sede.
Da ‘La casa delle finestre che ridono’ a ‘La festa di laurea’, da ‘Regalo di Natale’ a ‘Gli amici del bar Margherita’, e poi ‘la seconda notte di nozze’, ‘Il testimone dello sposo’ e molti altri, Pupi ha espresso sempre un’umanità profonda, autentica e sincera, con dolcezza e nostalgia.
Una sorta di piccolo mondo antico di origine contadina, influenzato dall’onirico di Fellini e dalla lirica pasoliniana. Registi questi che Pupi ha conosciuto bene, insieme a Monicelli, e di cui al Lido mercoledì ha narrato episodi spassosi, trascinando il pubblico con simpatia e risate.
Di Pasolini, con cui condivise alcuni set delle ‘120 giornate di Sodoma’, Pupi ricorda le plurime interruzioni della mamma premurosa, a richiedere con la vocina se preferisse le melanzane fritte o al vapore, mentre il figlio stava girando le scene più terrificanti della perversa immaginazione del marchese.
Con Monicelli Pupi si trovò casualmente dirimpettaio di stanza al policlinico Gemelli, sicché a un dato momento, invidioso dello stuolo di visite importanti dal mondo dello spettacolo del vicino, lui ancora giovane e sconosciuto a Roma, decise di lasciare la porta della camera spalancata per intercettare ‘un quarto’ dei visitatori.
Nel ricordo di Fellini Pupi abbandona la capacità affabulatoria da risata e si intona alla poesia: fu la visione di ‘8 e mezzo’, a film già iniziato a convincerlo ad abbandonare il lavoro di rappresentante di surgelati per fargli intraprendere quello di regista.
“E così, in pieno ’68, uscito dalla sala andai a convincere tutti gli amici del Bar Margherita di Bologna, distribuendo a ciascuno un ruolo come Gesù con gli Apostoli. E questa è la cosa più sessantottina che io possa dire” dice Avati.
“Dieci anni fa ho avuto l’onore di avere ospite Pupi Avati a casa mia a Pieve di Soligo, perché avevo preso l’iniziativa di fare la tramite – nomen omen – tra lui e Fulvia Dal Zotto, mia amica ed ex prof di francese nonché poetessa valdobbiadenese con cui da anni il Maestro intratteneva una relazione di stima e amicizia epistolare, senza averla mai personalmente incontrata. Volli quindi farli conoscere e fu un giorno speciale” racconta Rossella Tramet.
“Arrivò a metà dicembre con l’autista e rimase a pranzo come un amico, assistendo di seguito alla proiezione domestica di alcune scene del Bar Margherita, tra la sorpresa compiaciuta e l’imbarazzo divertito. Disse allora – e ripetè al Lido mercoledì – di non amare la visione dei suoi film perché, come il fluire della vita, rappresentano un pensiero e uno stato d’animo che nel tempo si superano, sicchè sembrano inadeguate ad esprimere il presente. Come dire che non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume, perché tutto scorre” continua.
Il premio è un ringraziamento per le storie raccontate mentre il fiume scorreva, per il lavoro di inesauribile educazione allo sguardo che ci ha saputo trasmettere con immaginazione feconda, per scorgere la grazia nell’ombra delle cose.
(Fonte: Rossella Tramet per Qdpnews.it).
(Foto: Rossella Tramet).
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