Ma chi sono gli occupabili?

Come noto, la legge di Bilancio 2023 (L. 29.12.2022, n. 197) ha modificato in senso restrittivo il reddito di cittadinanza, stabilendo che nel corso di quest’anno alcune fasce di beneficiari potranno ricevere un massimo di 7 mensilità rispetto alle 12 previste, in attesa di una riforma complessiva dell’istituto fissata per il 2024.

Con un risparmio economico atteso in 950 milioni di euro, la novità interesserà le persone con una maggiore probabilità di trovare un impiego, i cosiddetti occupabili, che saranno supportati da appositi percorsi di formazione e inserimento lavorativo.

La logica dell’intervento è apparentemente semplice e lineare: si fa venir meno il sostegno a quei soggetti per i quali si ritiene realisticamente possibile il reperimento di una nuova occupazione nel giro di pochi mesi. In realtà, tracciare i confini dell’occupabilità è un compito tutt’altro che agevole, essendo numerose le applicazioni del concetto e le variabili di contesto. L’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro la definisce come la probabilità che un individuo in cerca di lavoro, possa trovarlo in un arco di tempo piuttosto breve.

La legge sul reddito di cittadinanza considera invece occupabile chi ha perso il lavoro da non più di 2 anni.

Nei centri per l’impiego il grado di occupabilità viene determinato attraverso la profilazione dell’utente che tenga conto delle sue esperienze lavorative, delle competenze acquisite, dell’istruzione, della situazione familiare, del contesto sociale ed economico, ecc.

Come si vede, definizioni ben diverse ma tuttavia riconducibili a una dimensione individuale dell’interessato. L’attuale legge di Bilancio, invece, attribuisce alla materia un’inedita connotazione familiare: occupabili sono le persone che vivono in famiglie senza componenti disabili, minori o ultrasessantenni. Quindi, le caratteristiche personali non rilevano più di tanto, giacché prevale la composizione del nucleo di appartenenza.

Una siffatta impostazione potrebbe determinare conseguenze paradossali, dal momento che persone fragili e con scarso potenziale occupazionale si ritroveranno svantaggiate dal fatto di non avere congiunti over 60 o figli minori a carico.

Viceversa, chiunque abbia un figlio minore, seppur pienamente abile al lavoro, diventa automaticamente non occupabile e meritevole di protezione. Ma questa non è l’unica contraddizione.

Recentemente l’Istat ha provato a fare un’indagine sul numero e sulle caratteristiche di coloro che sono destinati a perdere il beneficio. Si tratta di circa mezzo milione di persone con bassa scolarità, di età superiore a 40 anni, perlopiù residenti al Sud dove, si sa, la domanda di lavoro langue.

Se dunque i criteri adottati dal Governo mirano a selezionare chi, tra gli attuali percettori del reddito, ha una maggiore vicinanza al mercato del lavoro per una rapida (ri)collocazione, il lodevole intento dell’Esecutivo non sembra cogliere nel segno.

Per un giudizio definitivo, conviene realisticamente aspettare la riforma del 2024, sperando che le descritte criticità vengano superate.

Autore: Giovanni Pugliese – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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