Il wushu come scuola di vita a Pieve di Soligo, a tu per tu con gli istruttori della “Wushu School”

“Il nostro obiettivo? Riuscire a formare i ragazzi affinché un domani, quando entreranno nel mondo del lavoro, riusciranno ad affrontarlo a testa alta, coscienti delle proprie capacità: lo studio permette una conoscenza di base, ma il mondo del lavoro spesso è crudele. Ciò che insegniamo educa in particolare il carattere: in uno sport di squadra dai e ricevi nel gruppo, ma nel wushu puoi contare solo su te stesso. Ed è questa la sfida più difficile: superarla significa superare l’ostacolo più grande che ti si presenterà nella vita”.

Parola di Roberto Fontana e Domenico Gosetto, rispettivamente presidente e vice della “Wushu School” di Pieve di Soligo. Oltre che una scuola di wushu, senza voler peccare di presunzione, quella dell’associazione con sede in via Stadio – per ammissione degli stessi istruttori – è una scuola di vita. “Nella nostra palestra, pur sapendo chi sono i più bravi, non esistono prime donne o uomini, non facciamo distinzioni. Si allenano tutti alla stessa maniera, dal primo all’ultimo. Differenze? L’unica è che chi vuole praticare agonismo si allena con me anche il sabato”, racconta Domenico.

Pieve di Soligo wushu school in redazione

Domenico (primo da destra nella foto sopra)  e Roberto (al centro nella foto sopra),  benvenuti nella nostra redazione. In pochi sanno realmente cos’è il wushu.
Il wushu spesso viene ricondotto erroneamente alla parola “kung fu”, anche per un retaggio dei famosi film di Bruce Lee. In realtà “kung fu” significa propriamente “lavoro fatto bene” e non c’entra nulla con le arti marziali: qualsiasi cosa, dunque, purchè sia “fatta bene” può essere kung fu. Invece, l’arte marziale cinese tradotta letteralmente è “wushu”. La federazione stessa, la Fivuk, sta per Federazione Italiana Wushu-Kung Fu, ma molto probabilmente cambierà nome per rimanere Fiw. Il wushu comprende, quindi, tutte le arti marziali cinesi e le discipline associate riconosciute dal Coni, anche se alcune con la Cina hanno poco a che fare. Basta pensare al Pencak Silat, ad esempio, disciplina di difesa personale originaria dell’arcipelago malese.

Qual è la storia della vostra associazione?
Il wushu è arrivato a Pieve di Soligo nel 1989, ma la nostra scuola è nata nel 2006. Cominciammo in una palestra a Colfosco, dove rimanemmo per circa quattro anni prima di trasferci a Barbisano ed infine al palazzetto di via Stadio. Inizialmente i nostri allenamenti erano aperti solamente agli adulti, ma negli ultimi cinque anni ci siamo concentrati anche sui bambini. Attualmente gli iscritti all’associazione sono nel complesso una quarantina, compreso chi pratica il Silat e il Sanda, ovvero la boxe cinese. Gli adulti vengono in palestra più per diletto, mentre della decina di ragazzini che abbiamo, in cinque hanno cominciato a praticare anche a livello agonistico, raggiungendo oltretutto ottimi risultati.

Nella vostra scuola si insegna il wushu moderno, ma di cosa si tratta?
Il wushu in Cina nasce come pratica multidisciplinare che comprende circa 800 stili e 800 armi diverse. Di conseguenza, per permettere le competizioni, è nato il wushu moderno e sono state codificate alcune “forme” (una serie di movimenti che rappresentano varie tecniche di combattimento, ndr). Esistono due tipi di wushu moderno: il Chang Quan ed il Nanquan. Il primo, lo stile del Nord della Cina, è più aggraziato e accrobatico, mentre il secondo, lo stile del Sud, si fonda su movimenti più lenti ma di potenza.

 

Nella vostra scuola si può studiare anche il Sanda ed Pencak Silat.
Entrambe le insegnamo solamente ai maggiorenni. Il Sanda è parte integrante del wushu e non è altro che la boxe cinese. Qui c’è contatto ed è uno sport a tutto campo, prevede calci, pugni e proiezioni. Nel nostro gruppo possiamo vantare due ragazzi molto promettenti in questa disciplina: Marco Biz, che potremmo decidere di iscrivere al campionato italiano di Federazione, e Mattia Lai. Il Pencak Silat, invece, è una disciplina di difesa personale di origine malese molto aggressiva, che ovviamente non possiamo insegnare ad un bambino. E’ una pratica indicata in particolare per le ragazze, che non punta sulla forza fisica ma va a colpire i punti nevralgici del corpo. Per quanto riguarda lo stile Setia Hati Terate la nostra è la prima scuola fondata in Italia, nel 2010, grazie alla collaborazione del maestro José Magneé della scuola Mante Belge di Liegi.

Si sente parlare sempre di calcio, basket, pallavolo. Quali sono le difficoltà nel portare avanti un’attività ed uno sport come il vostro, forse poco conosciuto?
Non è difficile, il problema è trovare la collaborazione dei genitori. Quando si parla di basket o di calcio si dice “giocare” a calcio o a basket, mentre il wushu è disciplina: l’impatto è diverso. Il riscaldamento è sempre vario, ma con la lezione vera e propria subentrano i primi problemi perché i ragazzi devono sottostare a determinate regole. Ma questo li forma sia dal punto di vista fisico che psicologico, a partire dall’atteggiamento, dagli sguardi in pedana. Una volta una mamma mi disse che suo figlio, da quando aveva cominciato a praticare le arti marziali, era più concentrato ed i risultati si vedevano anche a scuola. Per noi non c’è stata soddisfazione più grande.

I vostri ragazzi partecipano a diverse competizioni, peraltro ottenendo buoni risultati…
Come scuola partecipiamo alla Dragon Night, che si svolge ogni due anni in Belgio. Si tratta di una competizione organizzata dal maestro Magneé, una gara internazionale a tutti gli effetti. Lo scorso novembre per la prima volta abbiamo portato anche alcune delle nostre ragazze. Ultima gara in ordine di tempo a cui abbiamo partecipato, invece, è stata la scorsa domenica 3 febbraio, a Belluno. Le nostre ragazze (Giorgia Gobbo, Beatrice Corrocher, Sabrina De Nardi, Eleonora Pradal ed Estelle Gallon), tutte dagli 11 ai 13 anni, si sono comportate benissimo.

Pieve di Soligo wushuschollfacebook

Qual è il metodo con i bambini che si approcciano al wushu?
L’età mimima per venire in palestra è di 6 anni, prima non avrebbe senso. Inizialmente insegniamo ai piccoli specifici movimenti di coordinazione: al giorno d’oggi non sono abituati, passano più tempo a giocare al cellulare invece che all’aperto. Facciamo un esempio: un bambino quando nasce non corre, gattona. Dopo si alza in piedi e quando trova l’equilibrio comincia a camminare. Lo stesso vale per il wushu: una volta trovata la coordinazione i ragazzi cominciano a tenere alcune posizioni. Il nostro obiettivo è portare tutti i ragazzi allo stesso livello: la differenza tra un’amatore e un agonista non sta nella tecnica, ma nell’intensità di esecuzione del movimento.

Perché consigliate questo sport ai giovani?
L’arte marziale dà quello che tante famiglie al giorno d’oggi non danno: umiltà, rispetto, presa di coscienza delle proprie capacità ed educazione. I ragazzi nella nostra palestra possono essere sè stessi, sono liberi di esprimersi, ma all’interno di alcune regole. Durante l’allenamento ci chiamano “maestro” e non con il nostro nome, ad esempio. Inoltre il wushu permette il nascere di nuove amicizie, soprattutto nelle gare all’estero… E quando succede per noi è una soddisfazione impagabile. Chi pratica non deve diventare per forza un’agonista, ma un paio di gare le consigliamo sempre ai genitori perché serve al bambino a livello psicologico: esibirsi per la prima volta davanti a centinaia di persone gli servirà un domani per non farsi bloccare dall’ansia.

Se vogliamo, quindi, la vostra è un po’ una scuola di vita…
L’arte marziale è una scuola di vita. Lo dico sempre ai genitori: non siamo allenatori di wushu, in primis siamo educatori.

(Intervista a cura di Mattia Vettoretti © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it ® riproduzione riservata).
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