Se oggi percorri la valle del Soligo in auto, è difficile immaginare che un tempo, al posto del rumore dei motori, si sentissero il fischio del vapore e il fruscio dei vagoni su un binario unico. Per ritrovare quella scena bisogna tornare al 1925, a venerdì 14 agosto, quando sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia apparve il Regio decreto che sanciva la revoca della concessione per l’impianto e l’esercizio della tranvia a vapore dalla stazione ferroviaria di Susegana a Pieve di Soligo. Nel Quartier del Piave, dove la linea era entrata nelle abitudini di chi si spostava spesso tra i paesi, quella notizia fu letta con malcontento: su quelle righe si chiudeva un capitolo fatto di relazioni sociali e scambi commerciali, oltre che di rotaie.
La tranvia Susegana – Pieve di Soligo, in servizio da oltre dieci anni, venne progressivamente lasciata a se stessa. Niente più manutenzione, tabelloni aggiornati, bagagli accatastati sul marciapiede e resse all’apertura dei vagoni, tra fischi e fumo nero. Si fermava così un pezzo di storia del primo Novecento, quel filo rosso di ferro che aveva unito due aree cruciali della sinistra Piave. Di fronte a quel decreto, le domande erano inevitabili: quando era nata questa linea? Come funzionava? Perché oggi ne restano così poche tracce visibili?
La risposta porta al 16 novembre 1913, data di inaugurazione della tranvia ideata dalla Società Veneta. La linea nasceva con un obiettivo preciso: collegare i Comuni del Quartier del Piave alla rete ferroviaria nazionale tramite la stazione di Susegana, permettendo a Pieve di Soligo e ai centri vicini di partecipare più attivamente alla vita economica e sociale dei poli maggiori. Il tracciato si sviluppava su circa 12,8 chilometri, a binario unico, con due capolinea – Pieve di Soligo e Susegana, più precisamente Ponte della Priula, in prossimità della stazione statale detta “Susegana Ferrovia” – e soltanto tre fermate intermedie: Colfosco, Falzè di Piave (allora “Falsè”) e Barbisano.


Per realizzare la prima linea tranviaria che attraversava la valle del Soligo, entusiasmandone tanto i contadini quanto i signori più dinamici, furono spese 450 mila lire, cui si aggiunsero 122 mila lire per il materiale rotabile. Per l’esercizio la Società Veneta chiese un contributo annuo di 35.750 lire, circa 2.750 lire a chilometro: cifre che oggi possono sembrare modeste, ma che nel 1913 rappresentavano un impegno economico significativo, segno di una scommessa concreta sul futuro della zona.
Chi poteva permetterselo saliva su tre locomotive a vapore trainanti vetture di prima e seconda classe, dotate persino di una linea telefonica interna, un dettaglio moderno per l’epoca. A queste si aggiungevano dieci carri merci, chiusi o aperti, dedicati al trasporto dei prodotti agricoli e di altre derrate. I più esperti, non impressionati dalla novità, spiegavano ai curiosi che, trattandosi di binario unico, le locomotive erano bidirezionali: i treni che arrivavano alla fermata terminale in piazza a Pieve, la cosiddetta “Pieve Centro”, dovevano retrocedere fino alla vicina stazione per eseguire il “testa-coda” e ripartire in direzione di Susegana. Una manovra che, all’epoca, era parte dello spettacolo quotidiano della linea.
Non tutti sapevano, però, che il progetto iniziale della Società Veneta prevedeva un prolungamento della tranvia fino a Follina, ipotesi ritirata dopo pochi mesi e destinata a riemergere in forme diverse all’indomani della guerra. Con lo scoppio della Grande Guerra, infatti, anche la tranvia della valle del Soligo non uscì indenne: gli impianti furono gravemente danneggiati e l’amministrazione austroungarica, dopo la sconfitta di Caporetto, decise di sopprimere l’intera linea.
La storia non finì però in quel momento. La linea venne ricostruita come ferrovia militare, una “Feldbahn”, come venivano chiamate le ferrovie da campo. In questa forma provvisoria riuscì a dare vita, seppure per un periodo limitato, all’originario sogno di prolungamento, spingendosi fino a Follina e a Revine Lago, con nuovi raccordi utili alle esigenze del fronte e della logistica militare.
Rientrati in tempo di pace, lo scenario cambiò. Dopo l’armistizio, di fronte alla rinuncia della Società Veneta a ricostruire la linea, fu lo Stato a prendere in mano la situazione, avviando un passaggio di gestione che rimase sempre poco chiaro. Tra 1925 e 1931, quando arrivò la soppressione ufficiale della tranvia, la linea non recuperò mai la sua vitalità. La carenza di documentazione fotografica e i ricordi dei più anziani sembrano suggerire che i binari fossero di fatto abbandonati già nel 1922, quasi un decennio prima della data formale indicata dagli atti.
Oggi, mentre lo sguardo si posa su un paesaggio modernizzato, viene naturale provare un po’ di nostalgia per quel tempo in cui la valle del Soligo era attraversata da una nuvola di vapore scuro. Eppure, una volta chiuso il giornale e tornati al presente, è ancora possibile toccare con mano alcune tracce di questa storia. A Pieve di Soligo, in via Lamberto Chisini, è tuttora visibile l’edificio che ospitava la stazione, oggi trasformato in un garage anonimo, chiuso da una catena arrugginita di fronte a una pompa di benzina. A Ponte della Priula, invece, si riconosce la rimessa abbandonata che sorgeva di fronte al Tempio Votivo, nell’area dove oggi si trova il consorzio agrario.
Sono segni discreti, che sfuggono alla maggior parte dei passanti ma che, a oltre cent’anni di distanza, restano gli unici testimoni visibili di una vicenda che spesso si inizia a raccontare quasi per gioco: «Lo sapevate che una volta, a Pieve, passava il treno?». Dietro quella frase, detta magari in piazza o lungo il Soligo, si nasconde la memoria di una tranvia quasi dimenticata, che per un tratto importante del Novecento ha tenuto uniti Pieve di Soligo, Susegana e l’intero Quartier del Piave.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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