Se è vero che l’acqua è stata, è e sarà la linfa vitale della nostra specie allora potremmo dire che una sorgente non è in grado di generare soltanto ruscelli e rigagnoli ma anche intere comunità: è bene sapere che risalendo un corso d’acqua fino alla fonte, raggiungendo quindi questi templi nascosti e dai più dimenticati, è possibile scoprire molto sul passato di un territorio e di quanto la vita fosse molto meno scontata quando non esistevano i rubinetti.
Le opere mirate all’approvvigionamento dell’acqua nel nostro territorio sono state infatti un tassello importante per l’evoluzione di queste valli e dei loro abitanti.
Fra le sorgenti più belle e importanti vi è quella del Tegorzo, a Quero-Vas, la cui esistenza è la testimonianza tangibile di una storia ricca di significato: quella dell’approvvigionamento idrico di un territorio.
Posta a 407 metri sul livello del mare, la sorgente è situata in sinistra orografica dell’omonimo Torrente Tegorzo (affluente destro del Fiume Piave), alla base del versante nord-est del Sasso delle Capre che fa parte del Massiccio del Grappa.
“La zona del bacino è caratterizzata dalla presenza di substrati calcarei o detritici – spiega il tecnico di ATS Tommaso Favero, – La sorgente è di origine carsica; l’acqua scaturisce a una temperatura di circa otto gradi centigradi da una frattura sulla roccia lunga circa venti metri”.
Il manufatto della sorgente è caratterizzato da una facciata addossata alla roccia: la struttura esterna e gli organi di captazione sono stati costruiti intorno agli anni ’30, dall’allora Consorzio Acquedottistico Schievenin per servire i 18 comuni consorziati: Altivole, Asolo, Cavaso del Tomba, Crocetta del Montello, Istrana, Loria, Montebelluna, Moriago della Battaglia, Paese, Pieve di Soligo, Povegliano, Riese Pio X, Sernaglia della Battaglia, Spresiano, Valdobbiadene, Vedelago, Vidor e Volpago del Montello, la cui mappa è visibile sulla nicchia della facciata. Oggi invece la sorgente serve i comuni della Comunità Montana del Grappa, parte del Comune di Asolo e parte dell’area del Montello per un totale di quasi 40.000 abitanti.
Le vicende amministrative e tecniche della costruzione dell’acquedotto, progettato dall’ingegnere Guido Dall’Armi, sono raccontate nel volume “L’acquedotto di Schievenin”: tale pubblicazione è una storia nella storia.
Pubblicato nel 1932 in occasione dell’inaugurazione dell’infrastruttura, il libro andò parzialmente perduto negli anni successivi per poi essere recuperato a inizio anni 2000 e ricostruito nelle sue pagine mancanti su impulso dell’allora presidente del Consorzio Schievenin, Giovanni Tempesta.
Fu ristampato e distribuito a dipendenti e amministrazioni. Il volume racconta come per la costruzione dell’acquedotto furono impiegati dai 700 ai 1.200 uomini al giorno; una volta realizzato, consegnava acqua a circa 790 fontane pubbliche che servivano un’area di oltre 58 mila ettari per una popolazione di 124 mila abitanti.
Dettagliatissimo il capitolo dedicato alle numerose analisi effettuate sull’acqua, definita “pura e fresca, zampillante benefica”; chiare le finalità dell’opera e del Consorzio, ovvero garantire la salute degli abitanti, l’abitabilità di zone agricole e la necessità di evitare lunghi periodi di siccità.
Scrive Girolamo Baratto, allora segretario comunale di Montebelluna e del Consorzio: “Ragioni di risanamento fisico degli abitanti, condizione prima di ogni progresso, di pratica abitabilitàdi zone riservate all’agricoltura e richiedenti più intensa e migliore lavorazione, e necessità di evitare che in periodi di prolungata siccità abbia a mancare completamente l’acqua per l’uso potabile, per i bisogni domestici e per l’abbeveraggio, hanno spinto questi comuni ad associarsi, affine di provvedere ai bisogni dell’alimentazione idrica delle rispettive popolazioni. A soddisfare tali bisogni mira il nuovo acquedotto. La sorgente delTegorzodà un’acquapotabilmenteottima…”.
E conclude: “Con la costruzione dell’acquedotto diviene veramente integrale la bonifica idraulica di questi paesi; ed in essi i giorni tristi, in cui per provvedersi d’acqua era necessario fare lunghi e malagevoli percorsi, e per dissetarsi bisognava attingere acqua limacciosa di canali e torrenti o del fiume, non dovranno più ritornare”.
La portata media prelevata oggi dalla sorgente è pari a 250 litri al secondo: l’acqua che sgorga dalla roccia viene immessa nelle vasche interne al manufatto e da qui in parte viene convogliata nelle opere di acquedotto e in parte viene scaricata nel Torrente Tegorzo per garantire il Deflusso Minimo Vitale ovvero il deflusso minimo d’acqua che garantisce la sopravvivenza delle varie specie biologiche presenti.
L’area in cui è collocata la Sorgente Tegorzo è un’area ad alta valenza ambientale, censita tra l’altro all’interno della Rete Natura 2000, tra i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS).
Le montagne sono ricche di possibilità di svago come i sentieri per turisti che intendono vistare l’area e scoprire un suggestivo angolo delle Prealpi bellunesi al confine con la provincia di Treviso.
Risalendo queste valli segrete, tra ruscelli e scorci incontaminati, è più facile comprendere quanto l’acqua sia il nettare prezioso della montagna e quanto sia importante non sprecarne mai.
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