Ci sono pagine di storia della seconda Guerra mondiale che riaffiorano, per casuali incroci del destino, ad oltre settantacinque anni da fatti accaduti mai narrati dalla storiografia “ufficiale”.
A Treviso la fiaccola della memoria è tenuta accesa dall’Istresco, l’Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea della Marca Trevigiana, a cui si deve la pubblicazione del memoriale di Luigi Longhin, soldato e partigiano originario di Cappella Maggiore.
Intenso memoriale che, probabilmente, sarebbe rimasto nei cassetti di famiglia, se non fosse stato tratto dall’oblio grazie all’interesse dello scrittore Gian Domenico Mazzocato.
L’umana vicenda di Luigi Longhin è particolarmente significativa, poiché ha avuto coraggio di cambiare “casacca”, percorrendo l’Italia devastata dagli orrori del conflitto e dalla lotta fratricida, prima come paracadutista della Folgore e poi componente delle file partigiane del CentroSud.
Dalla Sicilia a Chieti, da Cassino a Lucca, il giovane militare trevigiano matura esperienze drammatiche annotate giornalmente in un taccuino, in seguito diventato un diario più compiuto su cosa fu effettivamente il ventennio per i giovani della sua generazione.
“Il parà di Mussolini approdato alla lotta per la libertà” scrive Gian Domenico Mazzocato nella prefazione di “Il 29 luglio quando che matura il grano. Storia di un parà da fascista a resistente”, diario di 107 pagine edito dall’Istresco.
Il singolare titolo è ispirato al verso di un canto alpino, “Il ventinove luglio / quando che matura il grano / è nata una bambina / con una rosa in mano”. Nella vita di Luigi Longhin la data del 29 luglio 1942 segna il momento della trasformazione, nel passaggio dal nazionalismo mussoliniano a un diverso amore di patria.
Dal diario emerge un uomo che ha vissuto tre vite. La prima, quella con la famiglia di origine a Cappella Maggiore, dove nacque il 30 agosto 1915 figlio di Antonio Longhin, benestante proprietario di una grande casa nel centro del paese, e di Ildegonda Frassinelli. Luigi ha due sorelle e un fratello.
È uno studente della rinomata Scuola Enologica di Conegliano, quando la famiglia è colpita dalle gravi difficoltà economiche, provocate dagli investimenti del padre.
Luigi nel 1937 è costretto a lasciare gli studi; per pagare i debiti familiari si arruola tra i volontari che in Spagna combattono accanto al dittatore Franco: “Un dramma che lo segnò per tutta la vita, una colpa che non superò mai. Era di idee progressiste ed egualitarie e andare a combattere con i franchisti…”, ha raccontato la figlia Hilde a Mazzocato, nell’affidargli il diario del padre.
Luigi invia a casa i soldi guadagnati con le armi, ma Antonio Longhin non onora i debiti e le difficoltà aumentano. Sarà il figlio a farlo, reduce dalla Spagna, lavorando persino come maggiordomo a Napoli, mentre si profila la minaccia di un’altra guerra.
Luigi “si trova ad un bivio: partire con la spedizione italiana in Russia o arruolarsi come paracadutista. Sceglie il paracadute. Dalla sua esperienza militare esce questo diario di guerra, riflessione sul ventennio fascista sfociato nella guerra”, si legge nella prefazione.
Ed è questo l’incipit della seconda vita del giovane Longhin, che si arruola tra i parà. Nell’aprile del ’42 all’Istituto Aeronautico “Cesare Balbo” di Ferrara inizia 45 giorni di un corso molto duro, perché il conflitto è alle porte e bisogna fare presto.
Nel luglio del 1943, dopo la caduta di Mussolini, con il suo reggimento Nembo viene mandato in Sicilia. Sono i giorni in cui gli alleati stanno per dare il via allo sbarco dell’Operazione Husky, che porterà in poco tempo alla liberazione di Palermo.
Per Longhin e i suoi compagni inizia l’odissea per tornare in continente e al nord, nell’Italia completamente allo sbando. Il diario descrive i convulsi giorni della ritirata e dell’intimo cambiamento di Luigi, che incontra tante esistenze travolte dalla guerra, come quella del capitano che dà il colpo di grazia a un sottotenente agonizzante, mentre si sta facendo il segno della croce.
Luigi Longhin “il 29 luglio si imbarca all’aeroporto di Brindisi per l’operazione che gli inglesi chiamano Batepiste, un massiccio aviolancio nell’Appennino Emiliano alle spalle dello schieramento tedesco.
Luigi e i suoi compagni sono sbandati, male armati, costretti a rinunciare alla loro divisa e a travestirsi da pastori. Entrano nelle bande partigiane del CentroSud, ricevono la missione di attraversare la linea gotica per recare messaggi. Voglia di libertà e tanta paura. Rischi enormi, c’è chi è preso e passato per le armi”, scrive Mazzocato.
Comincia nel 1945 la terza vita del soldato del Duce che abbracciò i valori di chi stava “dall’altra parte”. Ha quasi trent’anni, quando il 19 maggio 1945 torna nella casa natale di Cappella Maggiore e trova una famiglia lacerata e incattivita: una sorella, collusa col regime, è in mano ai partigiani; l’altra si nasconde a Venezia perché era ufficiale nel servizio sanitario della repubblica di Salò; il fratello minore, di leva nel genio telefonisti, è stato arrestato dai tedeschi in Grecia e deportato in Germania. Il padre, infine, “giudica partigiani, fascisti e nazisti ugualmente fanatici, rozzi e volgari“.
Luigi Longhin passerà il resto della sua terza vita in provincia di Bolzano, dove si trasferisce nel dopoguerra. Si sposa con Rina Chiaradia, da cui ha i figli Hilde e Silvano, diventa impiegato delle Poste, si impegna nell’associazionismo e nel sociale. Morirà il 12 aprile 2003, a 78 anni, per i postumi di un incidente stradale subìto nel 1998, mentre correva in bicicletta. Lascerà il manoscritto che aveva intitolato “Umane vicende di un parà in guerra”.
Pagine “intense e asciutte” prive di retorica, riesumate per una singolare casualità, così come capitato per tanti inediti memoriali.
La figlia Hilde, che vive ad Appiano (BZ) ed è insegnante, nella primavera del 2019 viene contattata al telefono da monsignor Lino Cusinato, sacerdote e storico, che sta ricostruendo la biografia del vescovo trevigiano Giacinto Longhin, divenuto beato.
Lo studioso intravvede la possibilità che ci siano dei legami tra la famiglia dell’illustre vescovo con il ramo dei Longhin di Cappella Maggiore e con il Luigi trasferitosi a Bolzano. Hilde conferma che una lontana parentela c’è e, inoltre, rivela di conservare un diario in cui il padre descrive le proprie origini venete.
Monsignor Cusinato legge il memoriale e ne resta talmente colpito da parlarne con Gian Domenico Mazzocato dell’Istresco.
L’istituto lo ha pubblicato nella sua collana per dare seguito al volere dell’autore: raccontare alle nuove generazioni quanto fece l’Esercito italiano nella lotta di liberazione dal nazifascismo, e di cui, spesso, nella ricorrenza del 25 aprile non si fa memoria.
(Foto: Gian Domenico Mazzocato).
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