Era soltanto un ragazzino quando, scavalcando una recinzione per andare a vedere l’atterraggio del primo elicottero da soccorso a Crespano, Matteo Tommasi si ferì a una gamba per la prima volta: lo ricucirono con quattro punti, ma non riuscirono a impedirgli di osservare da vicino il velivolo. Qualche anno dopo Tommasi si prestava come figurante nella simulazione degli incidenti stradali, sperimentava la guida d’emergenza con suo padre Aurelio e imparava a memoria le lezioni infermieristiche di sua madre, collaborando nel frattempo con la Protezione civile nell’Unità cinofila La Marca.
Operativo sul territorio come medico da oltre un decennio, ma presente sul territorio da ben prima, con esperienza nei Pronto soccorso di Castelfranco Veneto e Montebelluna, prima nella Croce Rossa e in altre associazioni che lo hanno visto impegnato anche in Africa, il medico 43enne Matteo Tommasi, residente a Castelcucco, ha ricevuto in questi giorni l’ufficiale passaggio di consegne che lo rende a tutti gli effetti coordinatore del Suem di Crespano – Pedemontana Emergenza ODV. Una responsabilità che però “resta in famiglia”: è stato il papà Aurelio, infatti, a seguire per tanti anni l’area Pedemontana, intervenendo in migliaia di casi e depositando le basi per quello che oggi è il Suem 118.
Come definireste questo 2022 appena trascorso per la vostra ODV?
“Nel 2022 ci siamo accorti che gli interventi sono aumentati rispetto al passato. Una quarantina riguardano il parapendio, un servizio che gestiamo anche in modo piuttosto tecnico assieme al CNSAS e al Suem di Treviso. È notevole il numero di chilometri che abbiamo percorso sommando i tragitti tra le tre basi Crespano di Pieve del Grappa, Valdobbiadene e Montebelluna: circa duecento mila chilometri complessivi, con tutto ciò che ne deriva a livello di costi e manutenzione”.
Il tema relativo alla mancanza di personale è caldo anche per voi?
“Questo è un tema scottante per tutte le associazioni, ma anche per le aziende ospedaliere: la criticità è che manca il turnover di giovani che abbiano voglia di iniziare a fare questo lavoro, che sì è avventuroso e appassionante ma anche abbastanza rischioso, specie in zone periferiche come le nostre. È stato fatto un buon lavoro di reclutamento recentemente e abbiamo vari giovani che ci aiutano (e che ringrazio). Tuttavia, noi avremmo bisogno di personale che possa dedicarsi quasi a tempo pieno al servizio che svolgiamo, che comprende sia la parte di 118 puro, sia la parte dei codici minori. I giovani vengono spaventati da una parte dal fatto di trovarsi da soli, dall’altra di dover iniziare a lavorare in un’area lontana dagli ospedali e dagli aiuti specialistici. È una paura che può considerarsi fondata, ma che si può mitigare imparando pian piano le procedure. Qui dentro, in un certo senso, c’è anche una scuola: basterebbe perlomeno provare a frequentarla”.
Qual è l’esperienza in campo medico che ha trovato più utile?
“Ho fatto per anni il vicedirettore del dottor Aurelio Tommasi. In sua assenza prendevo le sue veci, ma ciò che mi ha aiutato moltissimo è stata l’esperienza al Pronto soccorso di Castelfranco Veneto. Qui devo ringraziare il dottor Ziggiotto per avermi dato l’opportunità di seguire un’esperienza che dal punto di vista sia umano sia tecnico e di conoscenza mi ha veramente arricchito. Le esperienze fatte al 118 le ho portate in Pronto soccorso e viceversa: la concatenazione tra questi lavori, che sono complementari, è estremamente importante perché soltanto così è possibile notare la continuità intraospedaliera dall’inizio del percorso fino alla fine”.
Cosa c’è di così difficile nel gestire le emergenze sul Grappa?
“La difficoltà numero uno in Grappa sono i tempi d’intervento: sono estremamente dilatati rispetto a un intervento in pianura. Quando abbiamo un territorio così vasto e difficile da raggiungere, l’arrivo dei soccorsi è più lento e prima dell’intervento bisogna tentare di localizzare l’emergenza. Alcuni interventi raggiungono le tre ore: soltanto per l’arrivo dell’ambulanza a Cima Grappa sono necessari almeno 45 minuti. Per questo di solito noi spostiamo il medico e l’infermiera in automedica, con ambulanze specifiche per la montagna che lascino le vetture tradizionali disponibili per eventuali emergenze in pianura”.
Quale consiglio darebbe alla comunità dell’area?
“Direi loro che devono stare attenti a ciò che fanno in montagna, ma anche che è affascinante tentare di avere una verifica di quanto si crede sia accaduto prima di lanciare un allarme generale. Il mio consiglio è quello di mantenere la calma, seguire le indicazioni della centrale operativa: noi sappiamo benissimo gestire l’intervento, voi dovete soltanto permettercelo”.
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