Il verdetto giunto da Baku, capitale dell’Azerbaijan, è chiaro: le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono finalmente Patrimonio dell’Umanità. Questa notizia ha inorgoglito tutta l’Italia e, fin dall’inizio, sono giunti commenti positivi che premiano la sinergia tra privati, associazioni, Consorzio di tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e istituzioni pubbliche per l’impegno dimostrato durante il percorso che ha portato a questo traguardo.
Il presidente della Giunta Regionale del Veneto, Luca Zaia, ha dedicato questo successo ai contadini che non ci sono più e che hanno costruito le basi per godere di questo benessere, come ricordato anche da Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg.
Senza volerla considerare una voce “fuori dal coro”, l’intervento dell’avvocato Danilo Riponti, accademico e membro dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, ha voluto evidenziare una mancanza che, a suo dire, è molto pesante: l’aver dimenticato il fondamentale apporto del mondo culturale e accademico nel percorso che ha portato all’ottenimento di questo prestigioso riconoscimento internazionale.
“Condivido perfettamente questo tipo di dedica e di valutazione del presidente Luca Zaia – ha dichiarato l’avvocato Danilo Riponti – nel senso che proprio gli umili contadini, le persone più semplici e più povere hanno dato un contributo essenziale a questo riconoscimento. Però, direi che questa dedica andrebbe completata necessariamente anche con il richiamo ad alcune importantissime figure del nostro territorio che, stranamente, nessuno ha ricordato in questo momento così importante di questa onorificenza internazionale ma che, invece, devono essere ricordate perché sono state il perno fondamentale per l’ottenimento di questo risultato”.
“Parlo degli studiosi e degli scienziati – prosegue Riponti – che si sono occupati di questo tema a diversi livelli e con competenze altissime. Questo è un aspetto altrettanto importante e delicato su cui vorrei esprimere un mio personale punto di vista. L’altissimo riconoscimento attribuito dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Cultura premia la civiltà di un territorio, premia la straordinaria e incomparabile bellezza delle nostre colline, che è un dono, questa bellezza, del Signore potremmo dire parafrasando il Santo Padre Francesco e la sua enciclica “Laudato Si’”, e anche l’operato di quegli umili contadini che hanno ricamato pianta per pianta, vite per vite un territorio meraviglioso”.
“Purtroppo – continua l’accademico trevigiano – mi ferisce molto che questa altissima onorificenza ad una civiltà della Marca Trevigiana venga scambiata per un qualche cosa di portata meramente economica. Ho sentito dire: “Adesso implementeremo le vendite del Prosecco nel mondo. Adesso svilupperemo agriturismi, realtà recettive e presenze sul nostro territorio”. Queste sono conseguenze del tutto secondarie rispetto all’obiettivo principale che l’Unesco poneva: un riconoscimento a una civiltà di un territorio fatta da una natura incomparabilmente bella e dall’operato dell’uomo che con pazienza ed umiltà, spesso povertà, ha ricamato questo territorio”.
“Noi questo territorio lo dobbiamo amare e rispettare – conclude Riponti – non dobbiamo sfruttarlo economicamente perché se da un riconoscimento a una nostra grande civiltà pensiamo ad un abuso economico esagerato, noi non siamo degni di questa onorificenza. L’onorificenza premia una cultura, proviene da una grande organizzazione internazionale che riconosce un valore e un merito alla civiltà della vite e del vino e al territorio della nostra Marca Trevigiana, quello in particolare delle nostre colline del Prosecco”.
(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it).
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