Gianni e i suoi quattro chip sottopelle: “Apro le porte e pago con la mano”

I chip sottopelle di Gianni
I chip sottopelle di Gianni

I cyborg sono qui. O meglio, i cyborg siamo noi. A dire la verità lo siamo da tanto tempo, da quando il digitale è entrato nelle nostre vite, passando dall’essere solo un metodo con cui ottimizzare il tempo a una vera e propria filosofia con la quale comunicare, condividere gli interessi, intrattenersi. L’universo digitale ci è entrato nella pelle, si potrebbe dire, e poco importa se abbiamo un chip come Gianni Donadel, tra i primi a farsi installare microchip nelle mani, oppure no (-n ancora): il futuro, lo sappiamo, avvicinerà sempre più la nostra identità fisica alla nostra identità digitale.

Intervista a Gianni Donadel – Video di Luca Vecellio

Grazie alla sua esperienza, Gianni, che è un programmatore e un grande appassionato di tecnologia, ci introduce, con grande consapevolezza e modestia in un mondo ancora sperimentale, fatto di chip sottopelle che consentono all’utente di accedere a servizieffettuare pagamenti col solo movimento della mano. Ogni giorno in Italia milioni di transizioni vengono effettuate con le tecnologie contactlessi quattro chip che Gianni nel tempo (dal 2016) si è fatto inserire sotto alla pelle delle mani sfruttano la stessa tecnologia, solo al netto del dispositivo.

Così quando il nostro sperimentatore digitale, parcheggia il suo peculiare monoruota elettrico, entra in un bar e chiede di pagare col Pos, invece che avvicinare l’iPhone o l’Apple Watch lui avvicina direttamente la mano. Allo stesso modo, quando deve accedere agli spazi del data server della società per cui lavora non fa che avvicinare il dorso della mano sinistra alla serratura, che si sblocca e gli consente di entrare. 

I chip hanno la grandezza di un chicco di riso circa e vengono solitamente iniettati sottopelle con l’ausilio di una siringa. Al contrario, il posizionamento dei chip in altre zone della mano richiede l’intervento specialistico di un chirurgo con l’applicazione di qualche punto. Con l’anestesia non è nulla di traumatico, sembrerebbe, anche se questo metodo è chiaramente invasivo e facilmente associabile ai film di spionaggio e complottismo, forse troppo per essere commercializzato. Chi lo volesse sarebbe tenuto ad acquistare i materiali necessari negli Stati Uniti e a trovare un medico disposto a prestarsi a questo genere di operazioni ancora borderline.

“Quando mi vedono pagare mi fanno osservare che ho l’orologio smart sul polso opposto o che mi manca la carta bancomat o il telefono tra le mani. Poi quando vedono che funziona comunque, ci restano di sasso. Nel mondo siamo circa in trecento o quattrocento ad averlo, io sono stato tra i primi” in Italia, spiega Gianni. L’idea gli è venuta nel 2016, ascoltando un’intervista nel programma “2024”, nel quale Enrico Paglierini parlava con David Orban, uno specialista americano che lavora alla Singularity University alla Nasa e che invitava alla possibilità di accedere a Milano a una fase di sperimentazione di questa tecnologia”.

Gianni paga utilizzando la mano

Una delle complicazioni che potrebbe insospettire l’utente è la batteria: quando finisce, come diamine si fa a cambiarla? La risposta è facilissima: non serve. I chip funzionano catturando l’energia dal dispositivo a cui vengono avvicinati, così non occorre cambiarli di frequente. Mentre per la carta di credito la scadenza va dai tre agli otto anni.


Un’altra preoccupazione della gente, che è sempre stata ricondotta per qualche motivo al tema dei microchip e delle “cimici”, riguarda il tema della privacy: Gianni però smentisce tutte queste preoccupazioni. “Se il tema della privacy ci preoccupasse davvero dovremmo buttare via tutti i nostri cellulari, che non sono mai impostati in modo da far rispettare la propria posizione nell’anonimato. Questi chip non hanno alcuna traccia Gps e non hanno connessione, a differenza dei cellulari. E poi, la verità è che a nessuno interessa tracciare queste cose, piuttosto il mercato è interessato a quello che ci piace vedere sui social network o ricercare sui motori di ricerca”.

I chip

“No, non credo che questi chip saranno il futuro della tecnologia, – ci risponde – il futuro, secondo me, sta nel riconoscimento facciale, molto meno invasivo. In Cina si paga avvicinando il viso e all’aeroporto sempre avvicinando il volto sullo schermo appaiono tutti i riferimenti per l’imbarco: lì però in effetti ci sarebbe da discutere sul tema della privacy. Una volta che si riuscissero a ottenere le indispensabili garanzie per il corretto utilizzo di quei dati biometrici, quella sarebbe la tecnologia ideale.

“Un buon utilizzo di questa tecnologia – spiega Gianni – potrebbe essere però quella di avere un chip con il codice della tessera sanitaria, che non è nemmeno considerato un dato sensibile. Questo consentirebbe a chiunque di essere riconosciuto a distanza ravvicinata, non oltre, proprio perché queste tecnologie hanno un raggio d’azione ridotto”. 

Gianni indica dove è installato uno dei chip

Bevendo un caffè al suo bar di fiducia (rigorosamente pagato col chip), Gianni ci confida che secondo lui, appassionatissimo di digitale e soprattutto di tecnologie Apple, che ritiene superiore e all’avanguardia, bisognerebbe far maggior cultura su questo universo in continuo sviluppo. Bisognerebbe cioè far capire con precisione, secondo lui, quali sono i veri rischi del mondo digitale e quali invece rappresentano soltanto degli ostacoli culturali che ci imponiamo da soli, fatti di paranoie e timori verso il progresso e la tecnologia.

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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