“Oggi rifarei le stesse indagini che ho fatto”: il generale Mario Mori ospite della rassegna “Incontri & racconti”

Il generale Mario Mori

Una pagina di storia nazionale è quella che è stata aperta ieri sera all’auditorium Santo Stefano di Farra di Soligo, in occasione di una nuova puntata della rassegna “Incontri & racconti”, condotta dalla giornalista Adriana Rasera e introdotta dai saluti istituzionali del sindaco Mattia Perencin.

Intervista al generale Mario Mori – Video di Arianna Ceschin

Ospite della serata il generale Mario Mori, fondatore del ROS dell’Arma dei Carabinieri: durante la sua carriera lavorò al fianco del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nei nuclei speciali antiterrorismo. Condusse inoltre varie operazioni sotto copertura, che portarono all’arresto di boss mafiosi.

Al fianco di Mori ieri sera era presente anche il colonnello Giuseppe De Donno, uomo di fiducia di Falcone, con il quale lo stesso generale condusse un’indagine capillare, redigendo un dossier sul rapporto tra mafia e appalti.

Da sinistra, il generale Mori, Adriana Rasera e il colonnello Giuseppe De Donno

Un appuntamento in occasione di una giornata particolare, ovvero l’anniversario di quel 9 maggio 1978 in cui venne ritrovato il corpo esanime di Aldo Moro, in via Caetani a Roma.

“Quel giorno io c’ero – ha spiegato il generale – Fu un fenomeno che segnò uno iato: non avevamo gli strumenti adeguati per fare quel tipo di investigazioni. Ora siamo la miglior polizia investigativa europea“.

“Il terrorista non era il solito criminale a cui eravamo abituati – ha proseguito – Il generale Dalla Chiesa diceva che prima dovevamo studiare come pensavano i terroristi: io ho applicato il ‘metodo Dalla Chiesa'”.

La platea in sala

Un incontro pubblico dove, oltre al generale Dalla Chiesa, sono stati ricordati anche Falcone e Borsellino.

Il dottor Falcone era avanti anni luce: aveva una visione strategica del contrasto a Cosa Nostra – ha osservato il colonnello De Donno – A dispetto della narrazione data, Falcone non era amato, ma osteggiato dalla popolazione di Palermo. In Procura era deriso dai colleghi. Lui era un punto di riferimento per il contrasto alla mafia, conosciuto da tutti (anche in America): tutte cose che generavano invidia nei colleghi”.

“Io sono vivo per miracolo – ha aggiunto – Spesso ero in macchina con lui, ma non quel fatidico giorno: per pura casualità non ci sono stato”.

Il generale e il colonnello hanno quindi approfondito il tema del dossier mafia-appalti: “Dovevamo colpire Cosa Nostra sul lato economico – ha riferito Mori – Abbiamo scoperto una connessione tra mafia, affari e politica, dove emergevano anche nomi di parenti di alcuni magistrati”.

Le indagini in questione, anche tramite l’utilizzo delle intercettazioni, vennero condotte dal 1989 al 1991.

“La nostra tesi era che politica, imprenditori e mafiosi fossero in affari, si sedevano a un tavolino e si spartivano gli affari: l’appalto, anziché costare 10, costava 15 o 20 – il racconto di De Donno – Iniziammo a controllare le contabilità negli appalti, cosa non scontata negli anni Novanta”.

Riconoscemmo un modus operandi ricorrente, arrivato fino al Nord: in sostanza, verificammo un collegamento tra Cosa Nostra e l’attività imprenditoriale”, ha aggiunto.

Vari i punti tematici toccati nel corso della serata, tra cui le stragi a Capaci e in via D’Amelio, assieme a questioni irrisolte, come la sparizione della famosa “agenda rossa” di Paolo Borsellino e l’arresto dei boss della mafia come Totò Riina, operazione condotta proprio dal generale Mori.

“La vicenda di Riina nacque male, per una valutazione errata della Procura della Repubblica – ha dichiarato Mori – Nel 1992 le Forze dell’Ordine avevano soltanto una foto di Riina risalente agli anni Sessanta: a quei tempi non c’erano strumenti di identificazione. Se non fosse stato per il pentito, forse non lo avremmo preso”.

“Oggi rifarei le stesse cose in fatto di indagini”, ha ammesso.

“Il fatto era che nel 1992 l’Italia era spaccata e, in quel momento, lo Stato aveva bisogno di ottenere un risultato e di tranquillizzare l’opinione pubblica”, ha chiarito il colonnello De Donno

Nonostante tutti questi sforzi in fatto di indagini, Mori e De Donno finirono in un vortice giudiziario per la cosiddetta “trattativa Stato-mafia”, una persecuzione giudiziaria durata diversi anni, poi finita con l’assoluzione.

“Dopo quei fatti decisi di lasciare l’Arma: non abbiamo mai accettato che persone che ci conoscevano, e sapevano quello che stavamo facendo, fossero diventati i nostri principali persecutori”, il commento di De Donno.

(Foto e video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata)
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