“Refrontolo. Storia di un territorio collinare da scoprire” è il titolo del volume presentato ieri sera da Celeste Da Lozzo, esperto conoscitore della zona.
L’evento si è tenuto nella sala consiliare del municipio di Refrontolo, dove l’autore ha spiegato alla platea le caratteristiche, anche morfologiche, del territorio, le storie e gli aneddoti che lo accompagnano.
L’incontro è stato introdotto dall’assessore Matteo Corbanese ed è stato moderato da Mariagrazia Morgan, dirigente della scuola enologica “Cerletti” di Conegliano; presente tra il pubblico anche Luisa Cigagna, vicesindaco di Pieve di Soligo.
La storia di Refrontolo è stata esaminata anche da un punto di vista territoriale: “Barbisano è più refrontolese che pievigino – ha raccontato -. Barbisano è stato con Refrontolo dal 1819 al 1936, mentre è territorio di Pieve di Soligo dal 1936 a oggi”.
Nel tempo il territorio refrontolese ha consentito lo sviluppo dell’edilizia abitativa e delle attività di artigianato, aspetti che hanno quindi favorito un aumento demografico, registrando, nel tempo, un “intreccio amministrativo” anche con i vicini Comuni di San Pietro di Feletto e di Pieve di Soligo.
Due sindaci del paese erano infatti originari di Barbisano, mentre, restando in tema di primi cittadini, il “più longevo” è stato Renzo Liessi, che ha guidato il Comune dal 1960 al 1975.
“La demografia è rimasta condizionata da guerre diverse, dalla disseminazione di epidemie, da carestie per l’abbandono della terra – ha spiegato Da Lozzo -. Il nostro territorio è stato anche interessato dal diffondersi della pellagra, sviluppatasi nel XVII secolo in Spagna, che ha avuto il proprio culmine proprio in Veneto”.
Non tutti sanno inoltre che nel 1911 il Comune costruì un lazzaretto in via Colvendrame, completo di sei posti letto. Una struttura che, per un breve periodo dopo la Prima guerra mondiale, venne adibita a scuola elementare, per poi “trasferirsi” per qualche tempo nell’edificio della cosiddetta “osteria del Maresciallo”.
Refrontolo, come altre aree limitrofe, si caratterizzava per un’economia di povertà, appena di sussistenza e, in tale contesto, si sviluppò l’attività mineraria, impegnando 180 minatori e, di conseguenza, 180 famiglie, con il centro minerario al Molinetto della Croda ed estrazioni anche tra Pieve di Soligo e Tarzo.
L’attività mineraria ebbe inizio nella seconda metà dell’Ottocento, mentre dal 1936 al 1951 ci fu la seconda fase, quella più consistente.
In media venivano estratti 400 quintali di carbone al giorno, poi trasportati, per una parte, a Castelfranco Veneto. Oltre a varie ditte specializzate nel lavoro minerario, si svilupparono anche diversi gruppi autonomi come, ad esempio, l’esperienza di Ernesto Morgan, che avviò una cooperativa.
Il lavoro minerario era un’attività ricca di incertezze, che provocò anche delle morti e dei ferimenti. Un impiego che avveniva sempre “in condizioni avventurose”, con la costante preoccupazione nel percorrere la galleria, per il rischio di rimanere imprigionati all’interno.
Il volume di Da Lozzo riporta anche una mappa del reticolato di acquedotti del territorio e un’altra riguardante i resti di mulini in varie parti del paese (come ad esempio il Molino Crevada), senza contare le varie grotte che si nascondono nell’area.
Una tematica che per l’autore è stata anche l’occasione per ricordare i fatti avvenuti nel 2014 al Molinetto della Croda.
Un paese che racchiude le vecchie storie del passato, accompagnate alle tradizioni di un tempo, come ad esempio il rito dell’uccisione del maiale (del quale non si gettava davvero nulla, come dice il detto) nella famiglia contadina, “per affrontare l’inverno senza paura”.
Oppure la preparazione della grappa e il suo “profumo di vinaccia cotta”, con il costante timore dell’arrivo dei “finanzieri mandati da qualche invidioso vicino”, in un periodo in cui “poche gocce di grappa erano pensate come un potente antigelo”.
Un incontro che, sicuramente, ha svelato al pubblico in sala degli aspetti non noti a tutti.
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