Davide, vittima di violenza a 11 anni, sul palco per insegnare a perdonare: la storia di “Spaceboy” domani sera a “La Roggia”

Davide Biscaro

Domani, domenica 7 maggio, il centro polivalente “La Roggia” di San Zenone degli Ezzelini ospiterà alle 18.00 lo “Spaceboy Show”, uno spettacolo teatrale ispirato alla storia di Davide Biscaro e all’omonima biografia, apprezzata da platee e lettori in Veneto e non solo. Davide è originario della bassa padovana, vive con la sua famiglia nel Bassanese e ha poco più di cinquant’anni: di mestiere lavora in una società di servizi pubblici che si occupa di varie utenze e al contempo allena una società calcistica della zona.

Appena può torna a casa, legge, scrive e passa del tempo con la sua famiglia. L’esperienza di vita di Davide è stata particolarmente profonda e, forse, proprio in questo scendere, fino a toccare il fondo, il suo “Spaceboy” ha trovato lo slancio per diventare un autore.

A soli undici anni, infatti, Davide è stato vittima di una violenza di cui per molti anni nessuno, neanche sua madre, ha voluto sapere nulla: prima una sofferenza silenziosa, poi soffocata con un’adolescenza scatenata che, però, nel marasma e nelle droghe, ha anche avuto dei lati positivi. Attraverso una sinergia di musica, letture e quell’atmosfera che soltanto una storia autentica sa creare, questo spettacolo vuole portare nel teatro un tema sociale, un tema che in qualche modo tutti possono arrivare a capire, “perché la violenza è sempre violenza, attraverso qualsiasi mezzo si faccia”.

Facciamo a Davide qualche domanda prima del suo spettacolo a San Zenone, partendo dal chiedergli come abbia trovato il coraggio di scrivere di sé in modo così esplicito, senza prendere la distanza dal suo personaggio e di conseguenza dal suo passato.

“È vero: Spaceboy sono io. Ma nella mia vita ho interpretato tantissimi personaggi, mai soltanto me stesso: ho portato i capelli colorati, indossavo vestiti eccentrici, mi truccavo già a 16 anni. Così ogni volta che indosso uno “Spaceboy diverso”, alla fine dello spettacolo è quasi come salutarlo. Da domani non esisterà più, mi dico, e me ne libero anche fisicamente”.

Davide Biscaro sul palco
Quando e come hai trovato il coraggio di raccontare la tua storia?

“Sono stati i miei figli e i ragazzi che alleno a darmi l’input di spingermi oltre alla scrittura delle poesie. Prima non avevo fatto leggere a nessuno queste mie riflessioni. Il coraggio di scrivere la mia storia, quella che parte da molto lontano, l’ho trovata così: quando tentai di parlare con mia mamma di ciò che mi era successo lei mi diede del pazzo, così pensai che se non aveva capito lei, mai nessuno mi avrebbe ascoltato. Quando è mancato mio padre qualche anno fa ho capito che era il momento di metterla nero su bianco: per far capire ai ragazzi che, qualsiasi cosa accada, la vita è meravigliosa e vale la pena di essere vissuta. Delle volte basta l’atteggiamento di un genitore sempre pessimista per mettere in testa a un ragazzo che non è abbastanza amato”.

Definiresti doloroso il processo di scrittura?

“Scrivendo in prima persona ho rivissuto tutto ciò che mi è successo. Ho anche dormito in un sacco a pelo dietro al cespuglio dove è avvenuta quella violenza. Conosco bene i miei limiti, li ho conosciuti fino in fondo e questo mi ha aiutato a liberarmi ben prima. Quindi a dire la verità non mi serviva un libro per “superare il mio dolore”. L’ho già ampiamente superato, perdonando anche l’artefice di quel gesto. La chiave di tutto è il perdono e per essere felice nella vita devi essere in grado di farlo. È un po’ come per chi vuole avere un fisico tonico: per farlo devi andare in palestra, devi nutrirti in modo corretto. Ecco, per amare, devi saper perdonare e per riuscirci devi allenarti giorno dopo giorno”.

Perché uno spettacolo?

“Le prime case editrici con cui ho parlato mi dicevano che il romanzo era valido, ma che i temi adatti a un adulto erano scritti con un linguaggio consono invece ai ragazzi. Non ho voluto ascoltarli: piuttosto ho cambiato il mezzo e ho lavorato su uno spettacolo. Mi ha dato la possibilità di inserire la musica e di coinvolgere gli spettatori anche più giovani, che mi forniscono dei riscontri davvero positivi, consegnando quel messaggio che poi è sempre stato il mio vero obiettivo”.

Cosa può dare il tuo spettacolo anche ai fortunatissimi che non conoscono o non riconoscono la violenza?

“La fede è estremamente presente nello spettacolo e con la fede anche la fiducia reciproca, quella che dovrebbe nascere per esempio all’interno di una comunità: l’idea che vogliamo trasmettere è di essere vicini l’uno con l’altro. Il mio sogno, per esempio, è che un vicino di casa mi suoni il campanello non per dirmi che la mia siepe è lunga, ma per chiedermi se mi va di tagliarla assieme a lui. Certo che per farlo serve tempo, ma cosa c’è di più importante del passato e del futuro, degli anziani e dei bambini?”.

Il futuro dei teatri, secondo te, sta nel parlare di cose vere, con un linguaggio semplice che piaccia ai giovani?

“Sì, per me fare teatro è portare in scena la vita vera, le vere esperienze. Il teatro secondo me dev’essere questo: imperfetto“.

Il ricavato dello spettacolo, organizzato con il patrocinio del Comune di San Zenone degli Ezzelini e con la collaborazione del circolo Auser “Il ciclamino”, andranno all’associazione La Casa sull’Albero.

(Foto: Davide Biscaro).
Qdpnews.it

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