Alle radici della crisi d’impresa

Per gestire e magari superare l’impasse è necessario individuare in primo luogo le ragioni che hanno generato gli squilibri. Perdite economiche e crisi di liquidità ne costituiscono, infatti, solo i sintomi.

La crisi di impresa purtroppo è diventata un evento ricorrente, del quale occorre tenerne conto come dato strutturale del sistema industriale. La variabilità del costo delle materie prime, dei cambi monetari, l’ingresso dei Paesi emergenti, un’economia mondiale sempre più interconnessa, l’avvento di Internet determinano, infatti, una discontinuità dell’ecosistema capace di condizionarne fortune e crisi improvvise di una impresa. Famosa è la frase di Bill Gates: “Siamo sempre a 18 mesi dal fallimento”, riferendosi a Microsoft e alle tempistiche della legislazione di settore negli Usa.

La gestione di una crisi richiede una serie di azioni: 1) individuare le cause che l’hanno generata; 2) valutare quanto sia compromessa la situazione economico finanziaria; 3) definire una strategia di risanamento individuando azioni e modalità di intervento. In questo contesto, il primo passo è capire se le cause della crisi siano esterne di settore (quasi tutte le imprese dell’area sono in crisi) o interne soggettive (la crisi è solo dell’impresa).

Le crisi di settore sono le peggiori, perché la caduta della redditività è determinata dall’acuirsi delle forze che regolano le tensioni competitive su cui l’impresa non è in grado di incidere: l’introduzione di nuove tecnologie più efficienti, una contrazione della domanda per la modifica degli stili di vita, una crescita eccessiva dell’offerta per investimenti effettuati in passato, l’ingresso di nuovi player, l’affermarsi di nuove tecnologie che spingono alla concentrazione. In questi casi, l’unica via è tentare un riposizionamento in altri settori, oppure individuare una nicchia di mercato dove limitare gli effetti della concorrenza.

Le crisi interne sono meglio gestibili, perché collegate a problemi in gran parte nella disponibilità dell’impresa. Sinteticamente le potremmo classificare nelle seguenti macro categorie:
incapacità del management e insufficienza di strumenti di controllo: il management non riesce ad adattarsi all’evolversi dei tempi, il nuovo vertice per il cambio generazionale risulta inadeguato, contrasti interni impediscono veloci decisioni, mancanza di adeguati strumenti di controllo e pianificazione, mancanza di un gestionale;
squilibri strategici: politiche di prezzo sbagliate, mancanza di una chiara strategia di differenziazione o di nicchia, qualità eccessiva non riconosciuta dal mercato, prodotti obsoleti per mancanza di una strategia di innovazione;
squilibri produttivi interni lavoro: costo del lavoro eccessivo, organizzazione inadeguata, mancanza di un funzionigramma, mancanza di coerenza tra funzioni svolte e centri di responsabilità, conflittualità interna;
squilibri produttivi interni hardware: strutture produttive inefficienti, impianti obsoleti, sprechi produttivi di materie prime, dimensioni produttive antieconomiche;
squilibri finanziari: tensioni di tesoreria causate da una errata progettazione della struttura finanziaria: i mezzi propri risultano inadeguati, gli investimenti sono stati finanziati con fonti a breve, il servizio del debito per mutui è eccessivo rispetto al cash flow prodotto, la gestione dei rapporti bancari inadeguata.

Di norma, in caso di crisi conclamata la prima azione è conseguire un pareggio di gestione a qualunque costo, anche tramite interventi dolorosi (licenziamenti, aumento indiscriminato dei prezzi, dismissioni di asset) per preservare le risorse finanziarie. Individuata la causa, occorre pianificare gli interventi necessari per rimuoverla, definendo quante saranno le risorse interne disponibili e quanto necessariamente dovrà essere apportato dal soggetto economico in termini di nuova finanza.

Autore: Simone Rastelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli Srl

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