Il futuro della nostra scuola

Il futuro della nostra scuola

Riflessioni sulla prossima riforma scolastica: luci e ombre nell’ottica dell’avvicinamento al mondo del lavoro e della formazione di cittadini responsabili.

Il prossimo autunno vedrà il via l’ennesima riforma scolastica che interesserà, soprattutto, l’area superiore nelle componenti studentesca e docente. L’idea mi sembra quella, sempre prospettata, di una maggiore aderenza a percorsi formativi in grado di essere efficienti ed efficaci sul mercato del lavoro a vantaggio, naturalmente, della possibilità di impiego dei diplomati e di potenziamento professionale delle imprese.

Per gli istituti afferenti al settore tecnologico-professionale si riduce a 4 anni il percorso verso il diploma, con la possibilità di specializzazione di altri due anni presso i cosiddetti IT Accademy.

Per gli istituti tecnici e professionali si parla di internazionalizzazione, di riduzione delle materie a carattere generale, di potenziamento di quelle di indirizzo e di un maggior collegamento con il mondo produttivo mediante varie forme di collaborazione con imprese, laboratori, centri di ricerca ed università.

Il mondo dei licei vedrà l’introduzione, ma probabilmente a partire dal 2025, dei contenuti del Made in Italy.

Letta così la riforma mostra buone intenzioni sul lato del raccordo scuola/lavoro, posto che la velocità tecnologica comporterà sempre una carenza formativa da completare con l’esperienza diretta nei luoghi di lavoro.

Alcuni rilievi sorgono comunque spontanei, vista l’esperienza delle precedenti riforme.

Per esempio, lo spezzettamento del corso di studi 4+2 assomiglia molto alla riforma dell’università 3+2, dove chi esce con la sola laurea breve non ha esattamente le stesse opportunità di chi ottiene una laurea specialistica. A volte si pone proprio una questione di identità: dopo il triennio si è ingegneri o no? Si è biologi o no? E così via.

Ho qualche dubbio sull’idea di internazionalizzazione proposta per i tecnici e professionali: si tratta di gite, di scambi, di stage all’estero o solo di introdurre più ore per le lingue straniere? Mentre qualcosa di buono intravedo nel raccordo flessibile con il territorio, soprattutto con le eccellenze di ricerca e tecnologiche, a patto che vi siano protocolli seri di intesa.

Non ho capito, invece, la proposta di un liceo del Made in Italy, dove si introduce una seconda lingua obbligatoria e varie materie che, altrove, sarebbero chiamate professionalizzanti come quelle giuridiche ed economiche, l’informatica e le scienze. Non che facciano male, intendiamoci, ma perché non chiamarlo istituto tecnico, poiché per antica vocazione i licei dovrebbero preparare all’università dove poi si incontra il 3+2?

Di riformare la scuola c’è sempre bisogno: il mondo va veloce, l’economia, le imprese e la vita vanno veloci.

A volte sento parlare musicisti alla TV che si lamentano della poca considerazione dell’educazione musicale nei vari ordini scolastici. Gli sportivi non sono soddisfatti del solo liceo sportivo, ma vorrebbero più educazione fisica per un maggiore equilibrio tra il corpo e la mente in tutte le scuole. I problemi sociali che via via si manifestano (degrado, violenza, abuso dei social, bullismo, femminicidi) richiamano la necessità di incrementare le ore di educazione civica, di introdurre l’educazione di genere, sanitaria, sessuale.

La povera scuola italiana, non affatto disprezzabile nei confronti di alcune straniere, si vede investita di ogni tipo di responsabilità. Perché non le lasciamo fare il suo lavoro di fornire solide basi, di educare alla curiosità, di fornire un metodo di studio e un filtro interpretativo per elaborare le migliaia di informazioni che la realtà sociale, in ogni sua forma, produce? Aggiungerei anche di educare alla relazionalità, come fonte primaria di conoscenza, anche professionale e, aspetto non trascurabile, anche se potrebbe apparire fuori tema, la necessità di recuperare il ruolo fondamentale educativo in quell’ambito che, purtroppo, sembra esserne sempre meno provvisto: la famiglia. Per quanto sia banale a dirsi, è qui che si forma la parte essenziale della coscienza civica e una buona base per la successiva educazione scolastica (e non solo).

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Anselmo Castelli
Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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