Il licenziamento orale

Il licenziamento verbale è tamquam non esset (come se non ci fosse stato), in quanto tale inidoneo ad interrompere il rapporto.

Il licenziamento orale, intimato in violazione del requisito della forma scritta di cui all’art. 2 L. 604/1966, è interessato da una disciplina che spicca per le sue peculiarità sia rispetto alle altre ipotesi di licenziamento invalido, sia (come gran parte della normativa lavoristica) rispetto alla disciplina dettata dal Codice civile.

Una caratteristica degna di nota è rappresentata dalla previsione dell’inefficacia quale sanzione in cui incorre il datore di lavoro che dovesse intimare il licenziamento in violazione del requisito formale.

La norma, invero, sembra formulata senza tenere in considerazione l’assunto secondo il quale l’inefficacia non costituisce un vizio genetico dell’atto, bensì l’inidoneità dello stesso a produrre effetti; di guisa che l’ipotesi descritta e disciplinata altro non sarebbe se non una nullità sotto mentite spoglie.

Nondimeno, la specialità del licenziamento in questione emerge, qui allontanandosi dal regime dei licenziamenti invalidi, in tema di impugnazione, atteso che per esso non trova applicazione il doppio termine di decadenza ex art. 32 del Collegato Lavoro, ma il termine quinquennale previsto dalla normativa previgente. Anche sotto il profilo della rilevabilità d’ufficio, la nullità del licenziamento orale, in questo caso, come tutte le altre nullità lavoristiche, opera in deroga alla disciplina dettata per il negozio in generale, con la conseguenza che il giudice non potrà far valere d’ufficio la nullità dell’atto posto in essere illegittimamente dal datore di lavoro.

Solo sotto il profilo probatorio sembra che le regole valevoli nel diritto comune possano applicarsi senza variazioni: invero, nonostante i tentativi di una parte della giurisprudenza di affermare l’esistenza di un’inammissibile inversione dell’onere della prova, è stato di recente raggiunto un equilibrio interpretativo che vuole che sia il lavoratore, nel pieno rispetto dell’art. 2697 c.c., a provare la sussistenza del licenziamento orale.

Il lavoratore che intenda contestare il licenziamento invalido è gravato dall’onere di impugnarlo entro il termine di 60 giorni dalla data della sua comunicazione o dalla successiva data di comunicazione dei motivi, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, purché idoneo a rendere nota la sua volontà di impugnare il licenziamento.

Inoltre, entro i 180 giorni successivi dall’espletamento di tale attività, il lavoratore dovrà, pena l’inefficacia dell’impugnazione, depositare il ricorso presso la cancelleria del Tribunale o comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora tale richiesta dovesse essere rifiutata o l’accordo non dovesse essere raggiunto, il ricorso al giudice dovrà essere depositato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

La normativa descritta, per sua espressa previsione, circoscrive l’applicazione dei termini di decadenza alle impugnative dei licenziamenti invalidi, dando così la stura al filone interpretativo che vi riconduce la nullità del licenziamento orale.

Tuttavia, a seguito di un’accurata esegesi della disposizione e dei lavori preparatori, la giurisprudenza, pur confermando la nullità del licenziamento privo della forma scritta, ha ritenuto di escluderlo dal campo di applicazione dell’art. 32 citato.

Autore: Gianluigi Fino – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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