La Corte di Appello di Milano ha stabilito che la clausola “floor” applicata ai mutui a tasso variabile è da considerare vessatoria: è quindi possibile chiedere il rimborso di significative quote di interessi.
Non di rado i mutui a tasso variabile contengono una clausola particolare chiamata “floor” (pavimento), che fissa un limite minimo al valore che può assumere il tasso di interesse; talvolta sono presenti anche clausole cap che, al contrario della floor, fissano un limite massimo al valore che il tasso può raggiungere.
La clausola floor è evidentemente a favore della banca che, con la sua presenza, viene messa al riparo da riduzioni troppo marcate dell’Euroribor, garantendo una soglia minima al di sotto della quale il tasso di interesse del mutuo variabile non può scendere; tale clausola è particolarmente vantaggiosa quando i tassi di mercato scendono o addirittura diventano negativi.
Le clausole cap rappresentano invece una sorta di tutela del beneficiario del mutuo, in quanto mettono un tetto al rialzo dei tassi di interesse, evitando che la rata da corrispondere diventi esageratamente onerosa. In presenza di entrambe le clausole, banca e mutuatario si trovano in una posizione teoricamente paritaria, anche se i vantaggi effettivi dipendono dall’andamento dei tassi. I problemi si pongono quando nel contratto di mutuo sono presenti solo clausole floor e peggio ancora quando tali clausole non sono neppure indicate nei contratti. La stessa Banca d’Italia ha infatti richiamato gli operatori bancari per aver applicato floor ai propri clienti, senza però che questi venissero comunicati nei contratti.
Tuttavia, anche qualora venisse contrattualmente indicata, la clausola floor potrebbe ugualmente essere ritenuta vessatoria ai sensi del Codice del consumo, perché non facilmente comprensibile dai consumatori; infatti, un soggetto consapevole cercherebbe di non sottoscrivere una condizione del genere e non accetterebbe senza colpo ferire di rinunciare a un vantaggio (rappresentato dalla possibilità di pagare meno interessi) senza avere qualcosa in cambio, quale, ad esempio, uno spread più basso.
Dal marzo 2015 e fino all’estate 2022 le politiche monetarie delle banche centrali hanno spinto i valori dell’Euribor in territorio negativo e hanno conseguentemente innescato un cospicuo utilizzo della clausola floor, determinando un aumento fittizio della quota interessi delle rate dei mutui variabili. La Corte di Appello di Milano, chiamata ad esprimersi in un contenzioso tra un mutuatario e un istituto di credito, con la sentenza n. 2836 dell’ottobre 2022, ha stabilito che la clausola floor deve essere considerata una clausola vessatoria, che richiede quindi di essere opportunamente evidenziata e sottoscritta in modo specifico. In sostanza, un meccanismo di limitazione dei tassi verso il basso (clausola floor) a cui non corrisponde un analogo meccanismo di limitazione verso l’alto (clausola cap) assicura la tutela del rischio finanziario solo alla controparte contrattuale forte (la banca) e non anche a quella debole (soggetto mutuatario).
In particolare, la Corte di Milano, nel contenzioso in cui è stata chiamata ad esprimersi, ha dichiarato la nullità della clausola floor e ha quindi disposto a carico delle banche la restituzione degli interessi addizionali che l’applicazione di detta clausola aveva generato.
Dopo dell’emissione della sentenza, tutti i soggetti mutuatari che hanno sottoscritto mutui variabili con clausola floor non elencata nell’ambito delle clausole vessatorie, hanno la possibilità di contestarne la validità e di richiedere la restituzione degli interessi indebitamente corrisposti alla banca.
Autore: Luisa Pieralli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli