La settimana corta: cambiamento sistemico o di facciata?

Il dibattito, in corso ormai da tempo, mostra luci e ombre di un nuovo modello che sembra destinato a prendere piede anche in Italia. In realtà, escludendo iniziative di sperimentazione, non c’è ancora nulla di concreto.

Da qualche tempo si parla con insistenza di “settimana corta”. Grazie alla diffusione di nuovi modelli organizzativi, smart working in primis, sempre più aziende nel mondo adottano la settimana di 4 giorni lavorativi, alternando 35/36 ore di lavoro a 3 giorni di riposo. Tuttavia, ciò che in molti Paesi sembra ormai la normalità, da noi merita qualche riflessione.

Negli ultimi anni, complice la pandemia, molti lavoratori hanno potuto sperimentare il lavoro a distanza e hanno imparato a porre limiti al lavoro. Grandi dimissioni, quitfluencer (chi, dimettendosi dal posto di lavoro, con il suo esempio spinge altri colleghi a fare lo stesso), quiet quitting (tendenza a lavorare lo stretto necessario per non perdere il posto di lavoro), sono solo alcuni dei fenomeni che in modo più marcato caratterizzano le attuali dinamiche del mercato del lavoro.

Tra tutti, il comune denominatore è la ricerca del tempo libero e l’accresciuta consapevolezza di dover costruire il proprio equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. L’attenzione si sposta verso nuove forme di retention (capacità di una organizzazione di trattenere i propri collaboratori all’interno della stessa) e di flessibilità, tra cui la riformulazione della settimana lavorativa. In Italia, stante l’assenza di una precisa regolamentazione normativa, le prime sperimentazioni coinvolgono grosse aziende o gruppi, ossia quelle più capaci di riorganizzare e coordinare le risorse.

Secondo l’interpretazione più rigida, è possibile sviluppare la settimana corta lavorando meno ore a settimana, senza tagliare le retribuzioni; l’orientamento meno restrittivo invece prevede il mantenimento del monte ore settimanali, distribuite in meno giornate ma con l’estensione dell’orario di lavoro giornaliero. In tutta evidenza il tema è delicato e dovremmo chiederci se sia una strada realmente percorribile nel nostro Paese.

I test condotti in altri Paesi, come l’Islanda e il Regno Unito, hanno dimostrato che nelle aziende in cui è stata applicata la settimana corta la produttività è aumentata e con essa il grado di soddisfazione dei soggetti coinvolti, principalmente perché i lavoratori hanno potuto dedicare più tempo alla famiglia o ai propri passatempi, riducendo lo stress e ottenendo benefici per la salute. Tuttavia, tale soluzione palesa varie criticità, primo fra tutti l’impatto sui lavoratori più attivi che si trovano ad affrontare carichi di lavoro più pesanti, il cui malcontento investe negativamente i rapporti tra colleghi e l’ambiente di lavoro. I risultati sfavorevoli toccano anche il lato psicologico, così il calo motivazionale che talvolta si accompagna alla minor partecipazione alla vita aziendale e fa sentire i lavoratori meno coinvolti. In realtà gli effetti di tale soluzione organizzativa sono ancora tutti da valutare.

Se i benefici per i lavoratori sembrano abbastanza chiari in termini personali, familiari e sociali, permangono le perplessità sugli aspetti produttivi, retributivi e organizzativi per i quali, purtroppo, non esiste una soluzione univoca. Il cambiamento non è a costo zero e richiede un approccio contestualizzato, passa dalla sperimentazione della singola azienda con esiti diversi, condizionati da molti fattori, come il settore di appartenenza, la cultura aziendale, la disciplina collettiva e perfino i rapporti con gli operatori dell’indotto. Ma prima di tutto, l’ostacolo più grande è ancora il costo aziendale, senza contare che non tutte le aziende possono adottare la settimana corta, soprattutto se microimprese o di stampo manifatturiero. Va meglio invece per le aziende che forniscono servizi, ma attenzione a non generare disparità e tensioni interne tra settori o reparti che possono fruire di maggior flessibilità rispetto ad altri.

Per concludere, l’implementazione della settimana corta richiede un cambiamento sistemico per non restare prerogativa di pochi o mero strumento al servizio dell’immagine aziendale. Soprattutto, si deve innestare in un contesto culturale diverso da quello attuale, che ancora stenta ad affrancarsi dalla misurazione dei tempi di lavoro e a concentrarsi sulla produttività (lavoro agile docet).

Autore: Mario Cassaro – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

Total
0
Shares
Articoli correlati