Non vuol dire che il fatto non sussiste. Quando l’illecito è stato accertato ma la contestazione disciplinare non è tempestiva, trova applicazione la tutela indennitaria e non quella reintegratoria.
La tardività della contestazione disciplinare al lavoratore non equivale a insussistenza del fatto. In tale ipotesi, il lavoratore non ha diritto alla tutela reintegratoria (art. 18, c. 4 L. 300/1970), ma alla tutela risarcitoria (art. 18, c. 5). È questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con sentenza 23.06.2023, n. 18070.
Sul tema, è utile ricordare che l’esercizio del potere disciplinare è previsto dall’art. 2106 c.c. nei casi di inosservanza del dovere di diligenza, di obbedienza o dell’obbligo di fedeltà del lavoratore. La contestazione è il primo passo da compiere per l’avvio del procedimento disciplinare, come prevede l’art. 7, c. 2 dello Statuto dei Lavoratori.
La contestazione deve essere formulata per iscritto, a meno che la violazione non sia di lieve entità e si intenda procedere a un semplice richiamo verbale, ma soprattutto deve essere tempestiva rispetto all’accertamento della condotta sanzionabile. I requisiti di legittimità di un procedimento disciplinare, rinvenibili nell’ampia giurisprudenza in materia, possono essere così riassunti: specificità: la contestazione deve descrivere in modo dettagliato il fatto contestato al lavoratore, il luogo in cui è avvenuto e ogni altro elemento utile a comprendere quali colpe gli vengono addebitate per potergli consentire l’esercizio del diritto di difesa; immutabilità: i tratti essenziali della condotta contestata non possono essere modificati in un momento successivo, poiché in tal modo ne risulterebbe compromessa, per il lavoratore, la possibilità di difendersi; tempestività: la contestazione deve avvenire in immediata connessione temporale con il fatto disciplinarmente rilevante, seppur considerando l’esigenza del datore di lavoro di acquisire i dati essenziali, da contemperare con il diritto del lavoratore a una contestazione entro tempi ragionevoli, idonei all’esercizio del diritto di difesa.
Nel caso in esame, il ricorso del lavoratore veniva rigettato in primo grado, mentre la Corte d’Appello dichiarava illegittimo il licenziamento per la mancanza di tempestività della contestazione, pur ritenendo sussistente il fatto contestato e condannava la società al pagamento di un’indennità nella misura di 10 mensilità. Il lavoratore ricorreva in
Cassazione eccependo con un primo motivo che il giudice di appello avesse applicato erroneamente le disposizioni dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (sanzione espulsiva anziché conservativa); inoltre, eccepiva il tempo trascorso tra la conoscenza del fatto da parte del datore di lavoro e la sua contestazione (quasi un anno), senza alcuna reazione immediata, anzi, proseguendo nel rapporto. Per il ricorrente la fattispecie avrebbe dovuto essere ricondotta all’ipotesi di insussistenza del fatto contestato con applicazione della tutela reintegratoria.
La società, a sua volta, presentava ricorso incidentale eccependo che l’immediatezza della contestazione avrebbe dovuto essere valutata in riferimento al momento in cui le mancanze del lavoratore fossero state compiutamente accertate e non per l’astratta conoscibilità dei fatti.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati sia il ricorso incidentale della società, sia il primo motivo di ricorso del lavoratore e ha precisato che il ritardo nel contestare un fatto al lavoratore non può essere ricondotto al concetto di insussistenza, che legittima la tutela reintegratoria, poiché quest’ultima si applica in caso di assenza ontologica del fatto stesso. L’immediatezza della contestazione è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ma è esterno alla condotta disciplinarmente rilevante del lavoratore.
Autore: Mario Cassaro – Sistema Ratio Centro Studi Castelli