Obbligo di adottare ragionevoli adattamenti per assumere il disabile

Cassazione: nel contesto del pubblico impiego privatizzato la legge e la contrattazione collettiva devono garantire una tutela costitutiva adeguata ai lavoratori disabili con limitazioni funzionali ponendo in essere ragionevoli adattamenti.

Nel caso affrontato, il lavoratore, regolarmente iscritto alle liste di collocamento obbligatorio, ricorre giudizialmente a seguito del rifiuto di procedere all’assunzione da parte dell’Azienda Ospedaliera; alla base di tale scelta vi era il giudizio di inidoneità alla mansione di OSS.

Il Tribunale, previo espletamento del consulente tecnico d’ufficio (c.t.u.) medico-legale, accoglieva parzialmente il ricorso e dichiarava illegittimo il rifiuto dell’Azienda Sanitaria Provinciale di stipulare il contratto di lavoro a conclusione dell’iter di avviamento obbligatorio e condannandola al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, cui il lavoratore aveva fatto ricorso a seguito della mancata adozione del dictum costitutivo del rapporto di pubblico impiego ex art. 2932 c.c., rigettava la richiesta del lavoratore e, col presupposto che l’assunzione sebbene fosse obbligatoria non poteva ritenersi automatica, richiedeva l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del contenuto del contratto in ordine a mansioni, retribuzione e qualifica. La stessa Corte aveva ritenuto di non poter imporre, a norma dell’art. 2932 c.c., l’assunzione del lavoratore disabile da parte dell’azienda ospedaliera tanto più che dalle risultanze della c.t.u. medica emergeva che l’uso di strumentazione e le mansioni a diretto contatto con gli ammalati erano necessariamente inibite al ricorrente anche al fine di salvaguardare la sua stessa salute.

Avverso tale decisione il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza 26.02.2024, n. 5048, ha annullato la sentenza d’Appello rilevando, preliminarmente, che la parte datoriale pubblica è tenuta a porre in essere tutti i ragionevoli adattamenti necessari per consentire ai disabili di accedere al lavoro come richiesto dall’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE che impone l’adozione di provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a meno che tali provvedimenti richiedano, da parte del datore di lavoro, un onere finanziario sproporzionato o eccessivo.

Gli ermellini non hanno ravvisato inoltre ragioni ostative alla costituzione del rapporto dal momento che l’esito della c.t.u. medica nel confermare l’idoneità del ricorrente alla mansione, si era solo premurata di raccomandare alcune prescrizioni a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza; prescrizioni che non rappresentavano un ostacolo insormontabile alla costituzione del rapporto di lavoro ma rientravano, piuttosto, in quei “ragionevoli adattamenti” organizzativi, previsti dall’art. 3, c. 3-bis D.Lgs. 216/2003, cui la parte datoriale pubblica è tenuta per consentire ai disabili di accedere al lavoro.

La Cassazione ha bocciato inoltre l’affermazione della sentenza annullata secondo cui “compete alla sola parte datoriale ogni valutazione circa l’utilità economica e organizzativa di avvalersi di un operatore socio sanitario che non può fare uso di strumentazione e non può avere contatto con gli ammalati”, aggiungendo che spetta innanzitutto al giudice del merito la valutazione diretta della misura dell’accomodamento che richiede, per sua natura, un’interazione fra una persona individuata (con le proprie limitazioni funzionali) e lo specifico ambiente di lavoro che la circonda, interazione che, per la sua variabilità, non ammette generalizzazioni.

Su tali presupposti la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassato la sentenza e rinviato alla Corte d’Appello.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Gian Paolo Orfino – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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