Parità di genere, come rompere i soffitti di cristallo

Parità di genere, come rompere i soffitti di cristallo

Ultimamente si è fatto un gran parlare della rottura dei “soffitti di cristallo” da parte di importanti donne italiane. Questa narrazione trova terreno fertile grazie alla circostanza che il Governo e il maggiore partito d’opposizione sono guidati da due donne.

L’espressione “glass ceiling” (soffitto di cristallo) venne coniata dalla scrittrice americana Marylin Loden nel 1978, teorica della diversità e fortemente impegnata nel denunciare le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro.

L’autodeterminazione vera, però, non si raggiunge quando una o due donne arrivano ad occupare “una poltrona” anche se importantissima. La vera rottura del soffitto di cristallo si realizzerà solo quando sarà superato il divario di genere nel mondo del lavoro. Altrimenti staremo solo appendendo un altro quadro nella Sala delle Donne a Palazzo Montecitorio per omaggiare le donne che per prime hanno ricoperto le più alte cariche dello Stato.

Anche in occasione della pubblicazione degli ultimi dati ISTAT sull’occupazione, secondo alcuni, si sono frantumati soffitti. Tutto questo entusiasmo è giustificato? I dati, che dovrebbero aver un valore oggettivo, vengono in realtà sempre letti in maniera “contrapposta” a seconda dello scopo che ogni commentatore persegue. Pochi si impegnano in un’analisi oggettiva, tutti dovremmo invece sforzarci di utilizzare un metodo scientifico. Metodo scientifico che non significa analizzare i dati in maniera asettica, ma leggerli alla luce delle politiche attive, delle condizioni economiche, sociali e culturali.

Con quali dati dobbiamo fare i conti in questi primi giorni del 2024? L’ISTAT certifica che a novembre 2023, continua la crescita dell’occupazione, rispetto al mese precedente, coinvolge i lavoratori dipendenti, saliti a più di 18.700.000; con un aumento di 15.000 unità, e tornano a crescere anche i dipendenti a termine. Il numero degli occupati, pari a 23.743.000, è in complesso superiore a quello di novembre 2022 di 520.000 unità. Con un incremento di 551.000 dipendenti permanenti e 26.000 autonomi, mentre il numero dei dipendenti a termine risulta inferiore di 57.000 unità.

Su base mensile, il tasso di occupazione è invariato al 61,8%, quello di disoccupazione scende al 7,5%, mentre il tasso di inattività arriva al 33,1%. L’occupazione aumenta (+0,1%, pari a +30.000 unità) tra le donne – quella maschile rimane sostanzialmente stabile – i dipendenti e gli over 34, mentre cala tra gli autonomi e i 15-34enni.

Confrontando il trimestre settembre-novembre 2023 con quello precedente (giugno-agosto), si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,6%, per un totale di 130.000 occupati.

Le donne occupate raggiungono i 10.049.000, ben 258.000 in più rispetto allo stesso mese di un anno prima. Il mercato del lavoro, nonostante la congiuntura economica in frenata, continua a registrare numeri positivi soprattutto per l’occupazione femminile. Questo ci autorizza a facili entusiasmi?

Mentre si parla di soffitti che crollano l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ci informa che il numero delle dimissioni convalidate dall’INL, perché presentate nei primi 3 anni di vita del figlio, nel 2022 sono aumentate del 17,1% rispetto al 2021 e che il fenomeno riguarda, come sempre, soprattutto le donne (72,8% dei provvedimenti) ed è determinato dalla difficoltà di conciliare vita e lavoro. Il 63% delle neomamme, infatti, mette tra le motivazioni la fatica nel tenere insieme l’impiego e il lavoro di cura a fronte del 7,1% dei padri. Gli uomini si dimettono per passare ad un’altra azienda (78,9%), ragione invece minoritaria per le donne. Confermando i dati degli anni precedenti, la stragrande maggioranza delle dimissioni si riferisce a lavoratori/lavoratrici con un solo figlio.

La nascita di un figlio, ancora oggi, rappresenta il momento più critico nella carriera lavorativa. La motivazione più ricorrente, spiega l’Ispettorato, resta la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole, sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo. In particolare, le motivazioni relative alle difficoltà di conciliazione legate alla disponibilità di servizi sono il 32,2% del totale delle causali e riguardano l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato quali asilo nido o baby-sitter e il mancato accoglimento al nido.

L’organizzazione del lavoro o le scelte datoriali incidono per il 17,6% sul totale e riguardano condizioni di lavoro particolarmente gravose o difficilmente compatibili con la nascita di un figlio, distanza dal luogo di lavoro, cambiamento della sede di lavoro, orario di lavoro.

L’occupazione femminile in Italia cresce, ma il livello resta di molto inferiore a quello di tutti gli altri Paesi dell’Unione europea. La Grecia con il 21% occupa il primo posto in Europa per differenza di genere rispetto al tasso di occupazione, l’Italia segue a ruota con il 19,7%, in positivo si distinguono la Lituania, meno di 1% di differenza, e la Finlandia con 1,2% (dati giugno 2023). Il “Global Gender Gap Report” è uno strumento utilizzato per comparare a livello internazionale la parità di genere. Si basa su quattro elementi chiave: la partecipazione e l’opportunità economica, l’istruzione, la salute e il benessere e infine l’empowerment politico. Attraverso questi elementi viene indicato il percorso da completare per raggiungere l’uguaglianza di genere. 

L’Ocse stima che, se il contributo economico delle donne fosse uguale a quello degli uomini, nel 2025 il Pil annuo ammonterebbe a 28 trilioni di dollari, il 26% in più, rispetto ad uno scenario immutato. Il gender gap non solo è ingiusto ma anche dannoso per l’economia.

Il Global Gender Gap Index ci restituisce la distanza percorsa e da percorrere verso la parità, in altre parole il divario di genere colmato e da colmare. Il divario di genere nel 2023, per tutti i 146 Paesi inclusi, è pari al 68,4%, con un miglioramento di soli 0,3 punti percentuali rispetto al 2022. Con questo ritmo dovremo aspettare 131 anni per frantumare definitivamente i soffitti di cristallo. Nessun Paese ha ancora raggiunto la piena parità di genere. L’Islanda si colloca al primo posto e l’Afghanistan all’ultimo. 

L’Italia raggiunge un poco lusinghiero 79° posto su 146, prima di noi si posizionano anche Georgia, Kenya e Uganda. L’Italia è arretrata di 13 posizioni rispetto alla precedente classifica. In particolare, peggiora la partecipazione e la rappresentanza delle donne in politica, passando dal 40° al 64° posto. Per quanto riguarda, invece, la partecipazione e le opportunità economiche si passa, dal 110° posto al 104°, ma restiamo, purtroppo, nella parte bassa della classifica.

Questi risultati poco edificanti sono ulteriormente confermati dal divario retributivo tra uomo e donna. Secondo i dati elaborati dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio Inps – lavoratori dipendenti del settore privato – la retribuzione media annua complessiva in Italia è di 22.839 euro; i lavoratori guadagnano mediamente 26.227 e le lavoratrici 18.305. Una differenza di quasi 8.000 euro l’anno è veramente troppo. Se riuscissimo a costruire qualche asilo nido in più potremmo fare a meno di appendere quadri e i soffitti verrebbero giù per tutte e non solo per poche.

Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Maurizio Fazio – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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