Il prelievo dell’imprenditore individuale per finalità extra gestionali costituisce una movimentazione finanziaria che genera non solo conseguenze sul patrimonio netto della ditta, ma potrebbe anche incidere sulla fiscalità dell’impresa.
Sottocapitalizzazione della ditta individuale – Durante la vita aziendale accade di sovente che il titolare effettui prelevamenti di utili per esigenze strettamente personali, finalizzate al mantenimento personale e familiare. Alla fine dell’anno solare il movimento finanziario assume valenza economica perché viene ridotto il capitale netto in misura corrispondente al prelevamento bancario.
Se il titolare della ditta preleva somme eccedenti rispetto a quanto ricavato dall’attività d’impresa si genera una situazione di deficit finanziario. Il processo di sottocapitalizzazione della ditta, oltre a poter suscitare problematiche in termini di rating con il sistema creditizio, potrebbe non solo determinare una parziale indeducibilità degli interessi passivi riferiti a un indebitamento avulso all’attività aziendale, ma anche generare contestazioni del Fisco in merito alla giustificazione, ai tempi, all’ammontare e al contesto complessivo di quanto prelevato.
Possibili conseguenze – In tema di accertamento delle imposte sui redditi e alla determinazione del reddito d’impresa, il D.P.R. 29.09.1973, n. 600, all’art. 32, c. 1, n. 2, impone al titolare di reddito d’impresa di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.
Il ragionamento presuntivo adottato dalle Direzioni Provinciali delle Entrate che tende a correlare i prelevamenti non giustificati ai ricavi dell’imprenditore accompagna storicamente gli accertamenti basati su indagini finanziarie sui conti aziendali. Fino ad oggi solo attraverso un’adeguata giustificazione probatoria dei prelevamenti finanziari riconducibili alla sfera privata, che deve essere fornita da parte del contribuente, è possibile sfuggire all’equazione “prelevamenti non giustificati = utile non assoggettato ad imposta”. In tal senso la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di accertamento sulla base delle indagini finanziarie, i prelevamenti hanno valore presuntivo nei confronti dei titolari di reddito di impresa. Sul punto esprimiamo alcune considerazioni.
In base a quanto statuito per i prelievi dei lavoratori autonomi dalla Corte Costituzionale con sentenza 6.10.2014, n. 228, l’operatività della presunzione legale secondo cui i prelevamenti ingiustificati del titolare della ditta individuale siano da ritenere destinati a investimenti aziendali a loro volta in grado di generare materia imponibile, appare lesiva del principio di ragionevolezza e del principio della capacità contributiva. Ipotizzare che le uscite di banca possano costituire ricavi presunti perché generatrici di utili aziendali costituisce deduzione contraria a ogni logica contabile ed aritmetica.
Appare evidente che, in assenza di giustificazione, l’uscita dal conto (ossia il prelevamento) si può astrattamente attribuire altrettanto ragionevolmente a costi d’impresa quanto a spese personali, specie di fronte a piccoli imprenditori individuali; d’altra parte, se si ipotizza il prelievo funzionale all’acquisizione di fattori produttivi, la (supposta) resa dell’investimento potrebbe essere già stata considerata dai verificatori in forza di ipotetiche movimentazioni finanziarie in entrata (versamenti) transitate nel conto aziendale: sommarvi i prelevamenti significherebbe duplicare la rettifica reddituale.
Autore: Attilio Romano – Sistema Ratio Centro Studi Castelli