Spese non autorizzate con carta prepagata: quali tutele

Il Collegio di coordinamento dell’Arbitro bancario finanziario ha stabilito la liceità del rimborso dei pagamenti in favore di un utente che ne aveva denunciato la fraudolenza.

Il Collegio di coordinamento dell’Arbitro bancario finanziario è un organismo indipendente, sostenuto dalla Banca d’Italia per la risoluzione alternativa delle controversie tra clienti e banche. Con la decisione 23.12.2019, n. 22745, una banca è stata condannata al rimborso dell’importo equivalente a un pagamento effettuato da un cliente con la propria carta di credito, che era stato disconosciuto da quest’ultimo, poiché mai effettuato.

L’analisi del Collegio parte dalla disciplina di cui al D.Lgs. 11/2010: “qualora l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti”.

Nel secondo comma del medesimo art. 10 è precisato, da un lato, che l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento; dall’altro lato, che è onere del prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, fornire la prova della frode, del dolo o della colpa grave dell’utente.

Per il Collegio dunque, ancorché, nel caso esame, si fosse ritenuta concretata la prova dell’autenticazione e della regolarità formale dell’operazione contestata, restava tuttavia da accertare se l’intermediario, nella sua qualità di PSP, avesse altresì provato la sussistenza del dolo o della colpa grave dell’utente.

Orbene, in relazione a tale ultima circostanza nella decisione in commento si legge che non risulta che l’intermediario abbia prodotto specifiche allegazioni volte a provare, in via presuntiva, la colpa grave del ricorrente. Infatti, l’intermediario si è limitato a osservare, in termini generici, che “i clienti sono gravati dall’obbligo di diligente custodia dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento, quali tessere con microchip e password, nonché di osservanza delle disposizioni contrattuali pattuite con l’intermediario”, senza argomentare alcunché in merito al comportamento assunto da parte del ricorrente nella produzione dell’evento dannoso.

Pertanto, accertato il mancato assolvimento dell’onere probatorio per l’intermediario convenuto , il Collegio ha accolto il ricorso presentato dal correntista, disponendo che l’intermediario corrispondesse al ricorrente medesimo l’importo equivalente all’operazione fraudolenta contestata, pari a complessivi 1.020,00 euro. A fronte di ciò, è lecito concludere che sia onere della banca dimostrare l’illegittima condotta assunta dal cliente, il quale deve limitarsi a denunciare l’illegittimità del pagamento addebitato.

Autore: Gianluigi Fino

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