Strategia della fiducia

Ne abbiamo parlato ancora, ma sembra che il problema sia uno di quelli che non hanno soluzione, che ricorrono sempre attuali e irrisolti. E alla base della sua ricomparsa c’è il riapparire, forte e sempre più alimentato della paura, della fondamentale diffidenza che si prova nei confronti dell’altro, dello straniero, del diverso.

Non c’è bisogno di andare molto lontano, possiamo fermarci al nostro vicino di casa, al nostro collega di lavoro e magari riusciamo anche a nutrire qualche dubbio su amici che crediamo di conoscere da tempo. Sarà un caso, ma non c’è più nessuno che fa l’autostop. Chi si fida più di far salire in auto uno con lo zaino e un cartello di cartone scritto con il pennarello? Scomparsa l’offerta, è sparita anche la domanda. Sarà merito o colpa dei navigatori, ma nessuno più si ferma a chiedere informazioni e, di pari, nessuno più si spaventa se un’auto si accosta e apre il finestrino.

Andiamo in giro con sempre maggiore circospezione, diffidiamo dei nostri vicini in treno o metropolitana, guardiamo con sospetto chiunque ci rivolga la parola.
Ecco che ricompare il problema della fiducia e di come rialimentarla. Partendo naturalmente dai nostri rapporti quotidiani fino a quelli professionali.
Mi ricordo che, fino a pochi anni fa, si potevano stabilire tranquillamente accordi di lavoro con una stretta di mano: nessuno, anche in assenza di testimoni, si sognava poi di perdere la faccia non mantenendo la parola data. Perché atti positivi di reciprocità costituiscono la reputazione che è un bene prezioso, faticoso da costruire e facilissimo da distruggere.

È vero, siamo sottoposti ogni giorno a un continuo bombardamento di notizie non edificanti, notizie che non costruiscono la coraggiosa predisposizione ad affidarci agli altri, a metterci nelle loro mani.
La fiducia, poi, è una strana cosa. Interviene solo quando si interrompe la comunicazione. Quando siamo assolutamente sicuri di qualcuno, quando siamo in completa comunicazione con lui non abbiamo bisogno di fidarci. La fiducia ci fa superare un’assenza comunicativa, ci fa fare il salto necessario per continuare un rapporto. È un affidarsi che è anche comodo, poiché non abbiamo bisogno ogni minuto di chiedere se qualcuno ci ama.

Ma la fiducia è anche un rischio, una scommessa sul mantenimento e la realizzazione delle nostre aspettative nei confronti degli altri. Per questo ci vuole coraggio e credo che sia quello che è andato un po’ perdendosi negli ultimi tempi.
Come ricominciare? Con atti positivi. Non c’è altro modo. Perché la conquista della fiducia esige prove su prove, generosità e quell’apertura che esclude la paura.

Ma credo che, alla fine, non abbiamo molta scelta, poiché l’alternativa sarebbe solo quella di vivere nella chiusura più completa, in un nostro tristissimo mondo senza relazioni. Senza cadere nell’ingenuità, le strategie della fiducia sono vincenti, alla lunga, con la pazienza di chi vuole credere che i nostri piccoli mondi non sono sufficienti.

Sono molto d’accordo con il filosofo francese Marc Augè. Parla di frontiere necessarie per stabilire identità: non sono ostacoli o muri, ma invece passaggi, sono soglie che invitano a entrare pur rimanendo ognuno ciò che è, e a riconoscersi a vicenda. Con una speranza, che esige rispetto: chi “entra” non può né deve pretendere che chi ospita si adegui alle usanze dell’ospitato; semmai, dovrebbe avvenire il contrario, fermo restando l’assoluto rispetto delle diversità.

Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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