In una comunicazione, i contenuti sono fondamentali, ma esistono alcuni ostacoli che possono prendere il sopravvento e generare incomunicabilità o malintesi: tra questi, l’incapacità di riconoscere e gestire le emozioni.
Nei processi di comunicazione ci sono alcuni fattori fondamentali che facilitano il rapporto tra due o più individui: la chiarezza nell’eloquio, l’ascolto, l’apertura nei confronti dell’altro, la capacità di mediazione. Tuttavia, capita spesso che i risultati non siano ottimali, nonostante queste abilità attuate dai vari protagonisti della comunicazione.
Ciò accade a causa di fattori esterni, i cosiddetti “filtri della comunicazione” che spesso non dipendono direttamente da chi comunica:
l filtri tecnici: i rumori, le interruzioni, le condizioni tecniche di colloquio, cioè l’ambiente, la luce, la temperatura, la posizione;
l filtri sociali: l’appartenenza a gruppi sociali o a classi sociali diversi, magari in conflitto, o che siano portatori di valori incompatibili tra loro;
l filtri psicologici: le emozioni. Mi riferisco a pregiudizi, logica win/lose (atteggiamenti di prevaricazione), logica lose/win (atteggiamenti di difesa), incoerenza tra il messaggio verbale e quello non verbale, simpatia e antipatia.
Queste interferenze possono essere presenti sia nella fonte di trasmissione, sia nel messaggio, sia nello strumento di ricezione o nello stesso destinatario.
L’emozione, come noto, è una naturale condizione in cui l’organismo umano si trova nel momento in cui avverte un pericolo, una minaccia, oppure una situazione gioiosa come l’amore o la felicità. È un po’ come un motore a pieno regime, abbastanza vicino al massimo dei giri, che sta generando forza, energia e potenza.
Quando si vive un’emozione, l’organismo è chiamato a reagire, intervenire, valutare, agire con tutte le risorse di cui dispone, o con una parte di esse. La condizione di rilassamento, per esempio, è piacevole, ma poco funzionale ad affrontare importanti compiti o situazioni delicate. Quindi, dal punto di vista della comunicazione, la condizione emotiva in cui si trova l’interlocutore ha grande importanza.
Proviamo a fare un esempio professionale: se il vostro interlocutore, cliente, fornitore, collega, controparte o altro, non ha raggiunto una condizione di relativa calma e stabilità emotiva, finché non ha superato le punte più acute dell’emozione o del disagio, non è assolutamente opportuno entrare immediatamente in temi cruciali o generatori di potenziale tensione psicologica.
In condizioni di eccitazione, la percezione è alterata, anche se gli effetti sono diversi da persona a persona, da situazione a situazione.
È troppo complicato tenere conto di tutti questi aspetti? In teoria no, ma le abitudini umane fanno sì che ci si concentri troppo su noi stessi: sto molto attento a quello che dico, a come lo dico, a come misuro le parole.
E il mio interlocutore? È rilassato e si muove con naturalezza? Appare impacciato? La sua gestualità modifica in modo significativo?
Potete essere anche chiari a descrivere il vostro punto di vista e considerare chiuso l’argomento. Ma che percentuale di quanto avete detto è stata correttamente recepita?
Pensate a quante volte, dopo un colloquio, siete tornati in ufficio con la deprimente sensazione di non essere stati capiti.
Ed ecco che diventa importante non solo parlare, non solo ascoltare, ma …osservare.
Ogni segnale di disagio che noterete nel vostro nostro interlocutore vi darà la misura di quanto dovete spingere sull’acceleratore. L’emozione è sì una questione psicologica, ma va trattata come se fosse un problema concreto di contenuti. Concetti ovvi? Forse. Ma assolutamente poco applicati nella realtà. Osservare (invece di provare), per credere.
Foto: archivio Qdpnews.it
Autore: Eros Tugnoli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli