Scontrini “urlanti”

Scontrini “urlanti”

Nel mondo fiscale ci sono gli scontrini “parlanti” con informazioni utili per usufruire di detrazioni, sui social gli scontrini diventano “urlanti” con voci non previste o non comunicate. Riflessione sul turismo per scontrini meno urlanti.

Non ne avevamo abbastanza di guerre vere. Questa estate, abbiamo dovuto assistere a una curiosa e, per certi versi strumentale, guerra degli scontrini: da una parte consumatori/clienti che brandivano scontrini esagerati come se fossero armi letali, mostrando al mondo social voci e prezzi inusuali o gonfiati, dall’altra, ristoratori, baristi, albergatori, a cercare di giustificare nuove voci di servizio per coprire i costi (o per rifarsi dei tempi di magra). E la fantasia non è mancata.

Così lo scontrino è diventato un campo di battaglia interessante da analizzare, un documento non sempre reperibile, che testimonia sia le nuove tendenze dell’accoglienza turistica sia il gradimento selettivo della clientela.

Da un lato ci sono motivazioni non sempre nobili, ma anche la necessità di coprire costi oggettivi per servizi che sono effettivamente tali, che non rientrano in un auspicabile stile di cortesia e di accoglienza. Ci sono riflessioni serie sul fatto che, per esempio, andare al ristorante non significa solo ordinare, mangiare, pagare e andarsene, ma godere di un clima di cortesia che diventa relazione, legame, passaparola positivo. Questa esperienza deve essere facilitata. È previsto, infatti, nella formazione del personale di sala un atteggiamento professionale che va al di là di un semplice trasporto di piatti.

D’altro canto, abbiamo assistito a bravate di gente che se ne andava senza pagare il conto, lamentele ingiustificate, scorribande di valutazioni e punteggi sui portali e sui social, per vendetta rispetto a questa o quella struttura turistica.

Ci sono situazioni ricettive che considerano il contesto un luogo di passaggio, dove il cliente difficilmente tornerà, dove gli operatori quindi sono indotti al mordere che fa fuggire. Altre situazioni, invece, investono sulla reputazione e considerano l’attenzione ai dettagli elementi di sistema, fondando uno stile riconosciuto e comunicabile.

Una politica turistica della gentilezza dovrebbe puntare sulla formazione a quest’ultima tipologia di attività ricettiva, dove la professionalità diventa sistema di servizio e di accoglienza, di indirizzo, quasi di pratica psicologica nell’anticipazione dei gusti. Il rischio “cliente cafone” c’è sempre ed è il fattore specifico di rischio di questo tipo di impresa. Solo in questo modo, però, ci si può difendere dalla grande telecamera che è sempre aperta sugli esercizi turistici rappresentata dai punteggi, dalle valutazioni soggettive, spesso strumentali e guidate.

Riprendendo un concetto su cui abbiamo già riflettuto, la gentilezza, intesa come atteggiamento di accoglienza, di tolleranza, di attenzione ai bisogni, mi sembra sia la chiave per uscire da una guerra impropria che fa male agli operatori e a tutto il sistema turistico italiano.Non basta una bella Venere per promuovere l’Italia all’estero. Le nostre attrattive storiche e artistiche sono già ben conosciute: il mare, le montagne e le città d’arte. È necessario far ripartire i turisti colmi di bei racconti che andranno a incrementare un’immagine di gentilezza e di benessere relazionale che già ci sono, ma non ovunque.

Su questo bisogna lavorare.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Anselmo Castelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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