Skype e chat: se il lavoratore non risponde può essere licenziato

Skype e chat: se il lavoratore non risponde può essere licenziato

Recentemente abbiamo commentato il caso di un lavoratore licenziato per aver abbandonato la chat WhatsApp aziendale. Cosa succede se la chat è uno strumento di smart working? In questo caso il lavoratore potrebbe essere licenziato.

Il caso del dipendente licenziato dall’Ospedale di Cadice in Spagna per aver abbandonato la chat WhatsApp aziendale ha fatto molto discutere e ha avuto forte eco anche in Italia, soprattutto in relazione alle problematiche di privacy strettamente connesse all’uso di chat di gruppo che permettono a tutti gli utenti di disporre di dati identificativi del singolo lavoratore.

Diverso è invece il caso della chat di altra natura, quali ad esempio Skype o Teams, create su di un profilo aziendale dedicato al lavoratore, che non permettono ai colleghi di lavoro di accedere a informazioni personali e che vengono utilizzate come strumento di lavoro, soprattutto nello svolgimento delle attività a distanza.

In questo caso, infatti, il lavoratore che non ne rispetta l’utilizzo potrebbe addirittura essere licenziato: vediamo insieme perché.

Per poter analizzare correttamente la questione, è necessario analizzare 2 diversi aspetti, afferenti al mondo del lavoro dipendente, ovvero l’orario di lavoro e il potere disciplinare. È quindi necessario approfondire ulteriormente l’analisi e calarla nel contesto del lavoro agile: in questo contesto, infatti, da un lato non è previsto il rispetto del normale orario di lavoro (la prestazione del lavoratore è legata al risultato, più che alla disponibilità oraria delle energie psicofisiche) e dall’altro il codice disciplinare (solitamente affisso nella bacheca aziendale) assume una valenza differente.

In base all’art. 19, c. 1 L. 81/2017, azienda e lavoratore possono accordare e organizzare l’attività lavorativa in modalità agile solo a fronte della stipula di un accordo individuale, in forma scritta e contenente la regolamentazione di specifici aspetti, quali, fra gli altri, i tempi di riposo e le misure necessarie per assicurare la disconnessione, le forme di esercizio del potere direttivo e le condotte da cui possono derivare sanzioni disciplinari.

La norma (e di conseguenza l’accordo individuale) non parla mai di orario di lavoro: il lavoro agile è una diversa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, pertanto, non è legato a un orario fisso, ma viene garantita massima libertà di organizzazione in capo al lavoratore. Tuttavia, a tutela del benessere psicofisico del lavoratore, è obbligatorio preventivare un periodo di disconnessione giornaliero, ovvero un tempo entro cui il lavoratore ha il diritto di non essere raggiungibile, con nessun mezzo telematico, informatico o di comunicazione.

Ne deriva che, al di fuori di questo periodo, il lavoratore è tenuto a essere reperibile e quindi a rispondere a datore di lavoro e colleghi; tale disposizione sarà contenuta anche nell’accordo individuale.

Contestualmente l’accordo potrà prevedere anche l’elenco di strumenti messi a disposizione del lavoratore e mediante i quali deve garantire disponibilità e reperibilità, quali una chat della piattaforma Teams, Skype, o di altre piattaforme che, compliance al GDPR, prevedono il contatto con il lavoratore, pur garantendo il corretto trattamento di ogni dato identificativo (fra cui il numero di telefono privato).

Affrontando il tema del potere disciplinare del datore di lavoro, dobbiamo fare rimando alle previsioni dell’art. 2106 c.c., che dispone la possibilità che vengano applicate sanzioni disciplinari al dipendente, in relazione alle mancanze del medesimo nei confronti degli obblighi disposti dal Codice Civile e dai contratti collettivi; parimenti l’art. 7 L. 300/1970 considera l’affissione del codice disciplinare come prerequisito fondamentale rispetto all’apertura di qualsiasi procedimento disciplinare nei confronti dei lavoratori, come confermato a più riprese anche dalla Cassazione.

Questo tema è di assoluto rilievo se coordinato con la disciplina dello smart working, che potrebbe vedere coinvolti alcuni lavoratori dipendenti che prestano la propria attività integralmente con questa modalità e, pertanto, non abbiano modo di verificare i contenuti del codice in sede.

La norma sul lavoro agile contenuta nel D.Lgs. 81/2017 sembra tuttavia disporre una differente disciplina con riferimento ai lavoratori agili, in relazione alle regole di condotta da seguire nello svolgimento della propria attività lavorativa. Riferendosi all’accordo individuale di lavoro agile, il testo della norma dispone, infatti, quanto segue (art. 21, c. 2): “L’accordo […] individua le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari”.

Sembra, quindi, di cogliere una norma speciale per il lavoratore agile, che prevede la comunicazione delle condotte che possano dare luogo al procedimento disciplinare nello stesso accordo di smart working.

Pertanto, fatto salve situazioni oggettivamente sanzionabili anche qualora non ricomprese nell’accordo (quali ad esempio ingiurie o diffamazione), la norma sembrerebbe suggerire che solo le condotte “connesse” siano da ricomprendere nell’accordo di smart working: pertanto il datore di lavoro che introduce come strumento di lavoro e comunicazione una chat aziendale può disporre il licenziamento del lavoratore che si rende irreperibile al di fuori delle fasce di disconnessione.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
Autore: Barbara Garbelli – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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