In alcuni casi può essere ritenuta vessatoria la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio richiamato nel contratto di vendita tra il venditore professionista e il consumatore acquirente.
La Suprema Corte di Cassazione, II Sez. civile, con la sentenza 27.02.2024, n. 5139, in primo luogo, ha ribadito il principio che la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali, inserita nel regolamento di condominio, predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria nel caso previsto dall’art. 33, c. 1 D.Lgs. 6.09.2005, n. 206, che recita quanto segue: “Nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”. Pertanto, ove sia stata contestata la natura vessatoria della clausola dal consumatore o sia stata rilevata d’ufficio dal giudice, l’invalidità viene dichiarata qualora si determini, con la clausola, a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte di Cassazione, il Tribunale ha rigettato i contrapposti appelli delle parti e ha, perciò, confermato la sentenza resa in primo grado dal Giudice che aveva accolto l’opposizione spiegata dalla condomina contro il decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali intimatole dal condominio, sul presupposto della nullità della delibera assembleare, la quale aveva ripartito a maggioranza le spese anche a carico delle unità immobiliari ancora invendute, in violazione della clausola sottoscritta da tutti i condòmini nei loro rogiti di acquisto. Tale clausola disponeva: “in relazione alle unità immobiliari non alienate dalla società venditrice, si precisa che dette unità immobiliari non parteciperanno alle spese di gestione condominiale fino al momento in cui non verranno alienate; pertanto, dette unità immobiliari parteciperanno alle spese di gestione condominiale direttamente con i nuovi acquirenti”.
La sentenza impugnata aveva, in particolare, sostenuto che le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come “predisposte” dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 c.c. e, pertanto, pur se vessatorie, non necessitano di specifica approvazione.
La Suprema Corte ha, invece, accolto il ricorso, perché il Tribunale, in forza del Codice del consumo, era stato chiamato a verificare, e non lo ha fatto, se la clausola di esonero della società alienante dalla partecipazione alle spese condominiali per le unità immobiliari di sua proprietà ancora invendute, inserita nei titoli di acquisto dei condomini, riguardasse contratti di vendita immobiliare conclusi tra un venditore professionista e un consumatore acquirente, e potesse considerarsi vessatoria, ove determinante a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
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Autore: Luigi Aloisio – Sistema Ratio Centro Studi Castelli