Whistleblowing: il divieto di ritorsione

La rinnovata disciplina sulla tutela dei segnalanti definisce più compiutamente il perimetro del divieto di ritorsione.

L’art. 2, c. 1, lett. m) D. Lgs. n. 23/2023 definisce ritorsione “qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto”.

Sono considerate fattispecie di ritorsioni (art. 17, c. 4): il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti; la retrocessione di grado o la mancata promozione; il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro; la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa; le note di merito negative o le referenze negative; l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria; la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo; la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole; la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione; il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine; i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi l’inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro; la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi; l’annullamento di una licenza o di un permesso; la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

La persona fisica che ritiene di aver subito un atto ritorsivo a seguito della segnalazione effettuata, può comunicare il fatto all’ANAC che, qualora il medesimo fatto sia avvenuto nell’ambito del contesto lavorativo di un soggetto privato, informa l’ Ispettorato Nazionale del Lavoro per i provvedimenti di propria competenza e la cui collaborazione con la stessa ANAC è funzionale all’acquisizione degli elementi istruttori necessari all’accertamento degli atti ritorsivi.

Il licenziamento a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile è nullo, e il licenziato ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro.

Compete esclusivamente all’ANAC la valutazione degli elementi acquisiti e l’eventuale applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, il cui ammontare può arrivare fino a € 50.000: da 10.000 a 50.000 euro se accertato che sono state commesse ritorsioni, la segnalazione è stata ostacolata o si è tentato di ostacolarla o, ancora, è stato violato l’obbligo di riservatezza sull’identità del segnalante; da 10.000 a 50.000 euro se accertato che non sono stati istituiti canali di segnalazione, non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di tali procedure non è conforme alle prescrizioni, nonché quando non è stata svolta l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute; da 500 a 2.500 euro nel caso che la persona segnalante sia stata condannata, anche in primo grado, per i reati di diffamazione o di calunnia o la segnalazione è stata effettuata con dolo o colpa grave.

Autore: Giovanni Alibrandi – Sistema Ratio Centro Studi Castelli

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