Complimenti!

Servono i complimenti? Sono utili le congratulazioni?

Le scuole di pensiero in materia rischiano di dividersi e di essere antitetiche: servono i complimenti, sono utili le congratulazioni, svolgono un loro compito le felicitazioni?

Qualcuno dirà che ci addentriamo seri con questi interrogativi in un campo apparentemente banale della nostra quotidianità: dal loro punto di vista, non varrebbe certamente la pensa attardarsi rispetto a questioni che potrebbe apparire futili, poco significative rispetto alle tante e gravi problematiche degne di nota del nostro tempo. E invece… siamo convinti che anche questa dinamica delle relazioni personali e sociali sia meritevole di considerazione e necessiti di un approfondimento.

Perché sono ottima prassi i complimenti, quelli autentici, sinceri, dettati dal cuore, che esprimono la gioia per il successo altrui, per i traguardi felici del prossimo, per i risultati raggiunti e le cose buone realizzate?

Perché arrivano innanzitutto dalla storia, dalle sane pratiche del passato, da una prassi dell’educazione che aveva (e ha) significati importanti, legati alla vita e all’esperienza quotidiana e concreta di tutti e di ciascuno. In questo, il termine “complimento” sembrerebbe andare oltre la sua etimologia, che richiamerebbe il termine spagnolo “cumplimiento”, derivazione di “cumplir”, ossia “compiere i proprî doveri verso qualcuno”.

Non è doveroso fare i complimenti, in linea generale, non si mette in atto un qualche obbligo o una consuetudine cogente, ma certamente si mette in pratica un gesto denso di squisita gentilezza, di attenzione, di cortesia verso qualcuno che ha conseguito un certo successo individuale o di gruppo, una particolare nota di merito, un obiettivo degno di speciale stima e considerazione. Che cosa rappresentano i complimenti? L’uscita da se stessi, la valutazione di quanto esiste di profondo ed elevato ad di fuori delle proprie dimensioni, convinzioni ed esperienze, l’apprezzamento per la bellezza della vita e per le conquiste che il prossimo sa realizzare.

E’ innegabile: i complimenti fanno piacere a tutti! Rafforzano l’autostima, aumentano gli stimoli a fare bene, accrescono la volontà di migliorare se stessi e di essere utili al progredire della comunità. In realtà, mettono in atto un circuito virtuoso reciproco e vicendevole, perché provocano effetti positivi sia in chi fa, sia in chi riceve i complimenti. Partecipare alla gioia e ai successi altrui, innanzitutto,  fa uscire dall’autoreferenzialità e dagli egoismi, come detto, inserendo l’autore in circuiti relazionali positivi. Dall’altro lato, ricevere queste attestazioni di bene dona il giusto valore e compimento agli sforzi compiuti e suscita ulteriori e favorevoli visioni ed energie per il futuro.

Tutto così semplice e scontato? No. Infatti, come accennato all’inizio, esiste una rumorosa e irriducibile scuola di pensiero che contesta in radice l’opportunità e, potremmo dire, l’essenza stessa dei complimenti. A loro dire, sarebbero troppo spesso di maniera, non autentici, frettolosi, poco sinceri e frutto di opportunismo. Essi farebbero rima con la piaggeria, e anzi diventerebbero varie volte un serio ostacolo a un clima di relazioni personali improntate all’efficace eleganza dell’essenzialità, senza riti stucchevoli considerati ormai datati e superati.

Sono tutte opinioni rispettabili, che in alcuni casi potrebbero avere anche un qualche fondamento di verità. Ma se guardiamo con sincerità alla nostra esperienza vitale, sin da ragazzi, possiamo testimoniare invece quanto siano stati importanti e utili per la nostra formazione, sin dalla più giovane età, queste espressioni di incoraggiamento, queste attestazioni di felicità per le nostre mete raggiunte, questi riconoscimenti in privato e in pubblico per delle azioni compiute con speciale competenza, bravura e generosità. Certo, hanno fatto bene per la nostra crescita le pacche sulle spalle, il sostegno del parere confortante degli adulti, le dichiarazioni non reticenti rivolte a nostro favore, in cui si mettevano in risalto alcuni risultati di particolare merito e prestigio che avevamo ottenuto, con impegno, pazienza e costanza.

Tutto però avveniva senza lustri e senza sfarzi, in un contesto di tradizionale serietà e consolidato rigore, perché alla fin fine, comunque, ci dicevano, “hai fatto il tuo dovere!”. E qui torna curiosamente la radice spagnola della parola “complimenti”, proprio legata al termine e al senso del dovere… in pratica, nessuno doveva mollare la presa, montarsi la testa, eccedere nei festeggiamenti, perché i complimenti espressi non valevano per sempre, e dovevano essere conquistati meritatamente volta per volta, senza troppi entusiasmi e facilitazioni.

Una gioia contenuta, insomma, ma che alla fine lasciava trasparire anche negli adulti la giusta soddisfazione e il legittimo orgoglio per le imprese dei piccoli di famiglia. Ecco allora la funzione educativa dei complimenti, validi e utili, finalizzati alla crescita e al bene comune, orientati a migliorare e a vivacizzare i rapporti quotidiani fra le persone.

Perché – come sosteneva la saggia amica di un tempo – “di troppi complimenti non è mai morto nessuno!”, nella traduzione in italiano di un’espressione che  la “lingua matria” dialettale di casa nostra esprime in maniera ancora più simpatica e convincente. Prendendo spunto propri da questa affermazione, oggi avremmo davvero bisogno che i complimenti non morissero nelle buone abitudini di comunità, e che ci fossero persone felici capaci di dare voce e sostanza a questa bella ed esemplare prassi, che incoraggia ed edifica, migliora e rafforza, condivide e gioisce, guardando con attenzione alle vite degli altri. 

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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