E’ segno di vitalità e di stupore, di gioia e di soddisfazione, di freschezza e di intraprendenza. Il punto esclamativo diventa parte integrante, importante e significativa, della nostra comunicazione informale consueta, specie al tempo dei messaggi whatsapp, che hanno il potere di trasmettere immediatamente emozioni e sentimenti tra le persone, in maniera semplice e diretta.
Ebbene, potrà dire qualcuno, si tratta di un particolare del tutto trascurabile, quasi irrilevante, certamente non chiamato a cambiare i destini dell’umanità, e nemmeno ad essere particolarmente decisivo nell’economia dell’informazione e delle relazioni quotidiane. Eppure …..eppure, per esempio, chi avesse assistito al recente Concerto di Enrico Nadai e del coro Gli Sconcertati a Mareno di Piave, diretto dal maestro Andrea Mazzer e salutato da un grande successo di critica e di pubblico, avrebbe avuto la conferma di quanto sia entusiasmante e contagioso un approccio all’esistenza fatto di talento musicale e passione artistica giocati insieme, di giovane coralità convinta ed efficace, di autentico spirito di amicizia che lega insieme tutti i protagonisti. In pratica, uno spettacolo che fa esclamare – appunto – quanto siano affascinanti e attraenti le performance di coloro che amano profondamente la vita in tutte le sue caratteristiche, opportunità e sfaccettature, e non esitano a offrire il meglio di se stessi come dono per gli altri.
Con il sorriso. Con la felicità di gruppo. Con la leggerezza e lo spirito lieve di chi ha compreso che un’umanità migliore si genera anche dal sano divertimento, dalla degustazione dell’arte e della musica, dallo stare insieme che scaccia i pensieri di una quotidianità troppo spesso triste e faticosa. Insomma, fa rumore e fa notizia il punto esclamativo, che finalmente ritrova il suo giusto spazio nella comunicazione dei nostri pensieri e stati d’animo, senza paura di esagerare, di apparire troppo effervescenti, di usare terminologie scritte e verbali a volte ritenute particolari, originali e suggestive oltre misura. In effetti, che cosa esiste in alternativa a questo stile appassionato e ottimista, a questa dimensione “spettacolare” del proprio vissuto, a questa voglia di essere comunque in campo con uno spirito felice e positivo, a favore degli altri, per gli altri, a partire comunque dal senso armonioso ed equilibrato raggiunto per la propria persona e per il proprio vissuto?
Una sensazione di grigiore e di anonimato, di ristrettezza di orizzonti e di ripiegamento in una sorta di solitudine egoistica e autoreferenziale. Ad esempio, è un po’ la sensazione che più di qualcuno ricava dai contenuti e dallo stile della comunicazione veloce e moderna di chi abita il nostro tempo, spesso senza tante distinzioni fra generazioni diverse. In molte prassi, infatti, non si risponde alle telefonate, non si richiama dopo essere stati contattati, ci si esprime con monosillabi rispetto a messaggi che vogliono trasmettere contenuti e sensazioni importanti, stabilire un ponte di collegamento, condividere fatti e sentimenti significativi per chi scrive per primo e cerca il conforto di un ascolto, di un dialogo, di una possibile amicizia.
Scatta solo il classico “grazie”, senza nulla in più, un emoticon, un aggettivo. Nemmeno un punto esclamativo, guarda caso, a testimoniare il piacere, la sorpresa, il favore per quanto espresso, per essere stati prescelti come destinatari di pensieri speciali, per aver ricevuto in dono un segnale eloquente di attenzione, di disponibilità e di gentilezza. Come cambierebbero gli umori e la predisposizione reciproca se quel “grazie” avesse in aggiunta un punto esclamativo, per rappresentare in maniera inequivocabile un cuore che parla, un animo sensibile, uno spirito altruista, una considerazione puntuale di quanto viene espresso.
La scusa è la fretta, la distanza, il tempo breve, l’impossibilità di far fronte a tutto quello che ci viene scritto e inoltrato. E invece i punti esclamativi che mancano sono spesso il segno di assuefazione alle parole ormai senza emozione, di concessione all’abitudine scontata, di una sorta di tristezza interiore, di un pessimismo poco incline a suscitare gioia contagiosa.
Certo, i tempi non facili che stiamo attraversando non ci aiutano, perché le paure, le tristezze e le angosce che avvertiamo per le notizie che arrivano continuamente dai teatri internazionali di guerra e dai fatti di cronaca nera di casa nostra rischiano di alimentare sentimenti di paura e di chiusura, di difesa e di ripiegamento su noi stessi, invece di suscitare sguardi benevoli sul prossimo e sul futuro. Ma siccome nella storia non si sono mai generati frutti di bene dal pessimismo cosmico, allora vale la pena riprovare ancora, riaprire gli occhi e il cuore con fiducia, ripartire da noi stessi e dalle piccole cose che possiamo fare, come singoli dentro una dimensione di comunità. Piccole, magari, ma dense di significati e di potenzialità di cambiamento favorevole.
Vale la pena riappropriarci di tutto quello che aiuta a stare bene, comprese le persone e le occasioni che si presentano davvero come sane, virtuose e costruttrici di nuova umanità. E ripartiamo dallo stupore e dalla riconoscenza per i doni ricevuti, gli affetti che sappiamo decisivi per la nostra vita, la bellezza che esiste, in pienezza, in tante forme. E ripartiamo anche dal “grazie”, parlato e scritto, con il punto esclamativo!
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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