Cultura in libertà

Dentro i volti, le storie e le iniziative della Città Veneta della Cultura 2023, che coinvolge i comuni dell’Alta Marca Trevigiana oggi territorio Patrimonio dell’Umanità UNESCO, proprio la cultura diventa un motivo di riflessione e di proposta in queste giornate d’agosto ancora di riposo, di quiete, di silenzio. Non perché si tratti di argomento di cornice, ristretto, per addetti ai lavori, spesso non valutato correttamente nel suo ruolo fondamentale per l’umana convivenza, ma proprio perché riguarda invece il sentire di tutti e di ciascuno, il comune tessuto di civiltà, il destino dell’intera società.

Stiamo parlando infatti di una cultura ispirata ai valori profondi, fondanti, essenziali, quelli che danno senso e significato alla vita e al cammino di una comunità. E non intendiamo soffermarci su quella accezione di cultura che viene spesso inteso come un concetto astratto, distante, autoreferenziale, cattedratico e altezzoso, confusa con l’erudizione fine a se stessa, scambiata con l’accumulo di nozioni e conoscenze da esibire con fare di superbia e presunzione, con atteggiamento di superiorità rispetto agli altri, giudicati inadatti a comprendere la portata e il livello di presunta intelligenza del soggetto in questione.

Niente di tutto questo: infatti, come afferma uno dei massimi critici e storici dell’arte, Cesare Brandi (1906 – 1988), “Della cultura non si dà ricetta: ma, poiché la cultura non è l’erudizione, cultura diviene solo quella che, entrando a far parte della conoscenza, accresce la coscienza”. Ecco lo snodo fondamentale: la cultura come veicolo, motore e fattore determinante di una crescita personale e sociale fatta di consapevolezza di sé, attitudine verso le vite degli altri, processo, ricerca e costruzione dell’autentico bene comune.

Cultura quindi non come semplice accumulo di dati, come di fatto ancora succede purtroppo in tanti campi dell’istruzione dell’educazione delle giovani generazioni. Come se la solida quantità delle nozioni trasmesse potesse rappresentare di per sé la garanzia di una coscienza illuminata, aperta, formata, sapiente, proprio nel senso etimologico dell’avere sapore.

Significativa, perché generata dalle parole e dall’esempio di autentici maestri e testimoni. Libera, insomma, capace di pensare e realizzare percorsi di un autentico umanesimo, senza timori, pregiudizi, remore, complessi, presunzioni o servilismi. Una coscienza che si attrezza a giudicare, a scavare nei segreti e nell’essenza della vita, a non esitare mai rispetto alle sfide che chiedono verità, coraggio, capacità di comprendere se stessi e tutto quello che si configura come “l’altro da sé”. Vincendo l’odio, costruendo pace, giustizia, sviluppo e solidarietà.

Come ricorda sempre il cardinale Gianfranco Ravasi nel suo volume di successo “Le parole e i giorni”, il famoso filosofo greco, vissuto a Roma, Epitteto, nella sua opera “Dissertazioni” scriveva che “solo l’uomo colto è libero”. Non per niente la persona veramente libera, i corpi intermedi protagonisti della società, una collettività formata da persone culturalmente avvertite, e non da coscienze manipolabili, soggiogate e vinte in solitudine dalle sirene del denaro servile e del consumismo, rappresentano da sempre il più efficace antidoto alle dittature politiche, culturali e sociali, all’oppressione del pensiero unico, alle tentazioni dell’omologazione, tutte di fatto espressione di una libertà limitata, o negata.

Non a caso il tristemente noto  capo nazista Hermann Goering soleva dire con ferocia e senza tentennamenti: “Quando sento qualcuno parlare di cultura, la mano mi corre al revolver!”. Certo, facciamo riferimento  a uno dei periodi più bui della storia recente dell’umanità, agli anni della follia disumana della seconda guerra mondiale in cui fu raggiunto “l’abisso del male”. Questo non significa che la memoria non sia un fattore fondamentale e attualissimo  della cultura, perché sappiamo bene che “chi dimentica gli errori del passato è condannato a ripeterli”.

Nessuno conquista dell’umanità è garantita per sempre, perché proprio la dimensione della cultura, come segno di qualità di vita buona, ci invita a non deflettere, a non rinunciare mai ai diritti dentro una logica di equilibrio con i doveri, a mantenere un rapporto maturo e critico con i vari poteri che oggi sono sempre più forti e pervasivi, e al tempo stesso silenziosi e subdoli, attendando però di fatto alla libertà effettiva di tutti, ma in particolare di quanti sono meno avvertiti e consapevoli.

Non è mai troppo tardi per ripensare, per ritrovarci a riflettere, a meditare su queste piccole grandi  verità. E siamo grati all’acuta e pacata saggezza di chi ci ricorda, soprattutto in questo tempo di profonde inquietudini, che non saremo mai davvero liberi se non coltiviamo la memoria, teniamo care le radici e alimentiamo la fame di una verità che scomoda, incammina, e dà cuore e cultura al tempo che viviamo e che prepariamo.

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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