Non c’è alcun dubbio: se consideriamo il termine “prudente” nell’immaginario collettivo, esso evoca il senso di una moderazione, di una costrizione, di un’attitudine a contenere l’impeto, a moderare le spinte, a troncare e a sopire. Tradotto: la persona prudente è quella che in qualche modo si limita, e soprattutto non compie sforzi e progetti ulteriori che potrebbero recare danno perché non sufficientemente valutati e considerati nelle loro conseguenze.
Un esempio per tutti: essere prudenti alla guida dell’automobile vuol dire esattamente controllare la velocità, prestare attenzione, non mettere in atto comportamenti che potrebbero diventare causa di violazioni del codice della strada e di incidenti. Potremmo dire, insomma, che la prudenza viene per lo più interpretata in un senso restrittivo, come moderazione, privazione, a volte anche come inazione e passività, quasi come ammonimento preventivo a non dare corso ad azioni troppo energiche o influenti per un cambiamento delle situazioni.
In definitiva, prudente rischia di essere considerato che si astiene, chi si chiama fuori dalla scelte legate alla complessità della vita, che non entra volutamente nelle dinamiche concrete dell’esistenza che avrebbero invece bisogno di una guida sapiente e di una visione complessiva di bene. In questo senso, proprio questa prima fra le virtù cardinali – insieme a giustizia, fortezza e temperanza – rischia di brillare meno, di rifulgere non adeguatamente di luce propria, di essere non sufficientemente valutata per il suo indiscutibile, intrinseco valore, e di non essere inserita fra le giuste priorità. E invece tutti sappiamo quanto sia richiesta questa essenziale virtù nel panorama delle attività umane, da quelle relazionali a quelle sociali ed economiche, infine a quelle politiche nel senso alto del servizio al bene comune.
In sintesi, cercasi urgentemente personalità davvero prudenti che sappiano interpretare al meglio e guidare i percorsi esistenziali della comunità. Leader, quindi, non follower. Ci aiuta in questa riflessione e in questa ricerca la profondità umana e spirituale di un papa tanta amato nelle nostre terre, il beato Albino Luciani, che in uno dei suoi innumerevoli saggi così scriveva: “La prudenza è anche un motore. Non vi meravigliate. È San Tommaso che lo dice. Perché motore? Perché, contrariamente a quello che pensa qualcuno, la prudenza spinge all’azione. Dice: fa’, fa’, sbrigati! Questo è un ben servito a tutti gli eroi del “quieta non movère”, ai santoni della prudenza”.
Osservava ancora l’allora vescovo di Vittorio Veneto, salito al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo I: “Qualcuno dice: Sa, non mi ci colgono, non mi prendono, non voglio seccature. Dicono: quello è prudente! No, non è prudente; quello è pigro, qualche volta è vigliacco addirittura. Quella non è prudenza. La prudenza condanna lo zelo cieco, l’audacia pazza, ma vuole, consiglia l’azione franca, decisa, coraggiosa anche”.
Più di recente, l’economista bolognese di fama internazionale Stefano Zamagni ha dedicato giusto alla prudenza – da lui definita “la virtù del voler guardare lontano” – un’agile pubblicazione che riesce a dare una definizione più che mai attuale e significante di questa virtù, a partire dalla sua etimologia. Derivando “prudentia” dal latino “providentia”, che significa “guardare in avanti”, “guardare lontano”, l’autore afferma che la prudenza è la virtù di mantenere “l’equilibrio fra stima di sé e desiderio della stima degli altri. È dunque verità e giustizia. In quanto verità traccia la regola di direzione; in quanto giustizia inclina ad agire conformemente a questa regola. In quanto è verità, risiede nell’intelletto; in quanto è giustizia, risiede nella volontà.
Le due tendenze che la prudenza regola e guida sono una forza; e ogni forza contiene, in potenza, il movimento. Ecco perché la prudenza è virtù trasformatrice della realtà, sia personale che sociale”. Sempre secondo Zamagni, la dote più interessante della prudenza è saper vedere le cose, le situazioni come sono, non come le fa sembrare la paura o come le deforma l’interesse proprio, esattamente il contrario di chi è fanatico e non vuole le sfumature, di chi ragiona ideologicamente e filtra tutti i coloro attraverso la lente delle sue idee preconcette.
Ancora, prudente è chi non si fa ingannare dalle apparenze perché, essendo umile, sa accettare il consiglio degli altri e sa distinguere tra chi è credibile, e merita fiducia, e chi invece inganna e illude. Sempre secondo Zamagni, è errato e fuorviante l’adagio secondo cui “la prudenza non è mai troppa”, perché se fosse troppa non sarebbe più prudenza. Infine, terza bella dote della virtù in questione è l’arte di riconoscere i tempi differenti della vita dell’uomo, ad esempio con la giusta consapevolezza del momento esatto in cui bisogna correre e, invece, in cui serve tirare il freno a mano.
In questa capacità di conoscere e deliberare, di pensare e di agire, di valutare e di attivarsi, secondo finalità buone generali e particolari, risiede dunque la grandezza della prudenza, definita virtù “architettonica” dal filosofo Aristotele, proprio perché dirige ogni altro tipo di azione, presupponendo la nostra attitudine al bene, alla concezione dell’homo homini amicus”. Quanti esempi non edificanti ogni giorno, quante imprudenze, quanti eccessi, quante latitanze e quanti assenteismi: per questo sentiamo tutti l’esigenza che torni in voga l’autentica prudenza come sguardo di futuro, visione di equilibrio, energia vitale, impegno di cambiamento e di trasformazione di un mondo che oggi più che mai ha bisogno di maestri, di testimoni, di leader prudenti, coerenti e credibili.
(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
#Qdpnews.it