Dire l’amore

Tante volte rischiamo di intiepidire, sbiadire e volgere in negativo rapporti di coppia, familiari o amicali perché non riusciamo sufficientemente a dare valore e risalto alla bellezza e all’importanza di queste relazioni, a chiamarle per nome, a dire veramente quello che rappresentano per noi. Spesso fa capolino il senso dell’abitudine, il dare per scontato, il considerare acquisito un sentimento, uno stare insieme, una reciprocità nella quotidianità.

E invece proprio questo tipo di approccio, prolungato, privo di novità e di fantasia, concedendo poco o nulla alla riaffermazione spontanea e autentica della verità di quello che si prova nel proprio animo, rischia di compromettere il percorso felice del “tu” fra le persone che si stimano e si vogliono bene. Tutto questo mi è venuto in mente leggendo una pagina del volume di Gianfranco Ravasi “Le parole e i giorni” (Mondadori), una miniera inesauribile di cultura  in briciole che non finisce mai di insegnare, e di stupire. Qui si trova la citazione seguente di Enrico Peyretti: “La piccola cura (purché non sia l’unica!) di rifornire la zuccheriera, prima che altri la trovino vuota, è un atto di amore domestico. L’amore è grande, ma è fatto di piccole cose”.

Certo, il gesto di anticipare con sollecitudine e finezza il piccolo disagio che verrebbe dalla zuccheriera vuota è il segno di un qualcosa di più grande e significativo, che riguarda il cuore delle persone. Infatti, non ci si metterebbe mai nella condizione di compiere queste scelte di attenzione squisita nei confronti di chi ci sta accanto se non ci fosse un rapporto di affetto costante e provato, una dedizione intensa e speciale, una cura effettiva dell’esistenza altrui, senza voler tralasciare alcun particolare, neppure quello apparentemente di minor rilievo, meno visibile, meno eclatante.

Insomma, l’esempio in questione potrebbe essere riprodotto per tanti altri piccoli gesti d’amore che siamo soliti compiere nell’arco delle nostre giornate, per dare testimonianza di sentimenti che invece piccoli non sono, e anzi sono la dimostrazione che soltanto in questo modo sappiamo dare volto, voce e concretezza a quanto avvertiamo come fondamentale, essenziale, basilare per la felicità della nostra vita, insieme ad altri. Ci sono gli affetti di coppia, ma più in generale quelli che riguardano la famiglia, i rapporti di lavoro, le relazioni sociali: insomma, si tratta della capacità di tradurre in pratica il senso di altruismo e di prossimità, contro ogni tentazione di egoismo, autoreferenzialità e autosufficienza che contraddicono il senso profondo della vita buona con tutti. Quindi, per tornare al nostro testo di riferimento,  “un amore grande”, sia nella sua intensità che nella sua diffusività, realizzato a partire dai piccoli gesti di ricordo, premura, aiuto e collaborazione che sono “sapienti”, perché hanno “sapore”, come indica l’etimologia del termine, e sono “eloquenti”, perché hanno la capacità di dire, di parlare, di descrivere un sentimento autentico, al di là di tutte le parole che potrebbero essere pronunciate. Fin qui, tutto bene. Esiste però un rischio concreto, che in qualche modo viene evocato in un passaggio parentetico della citazione suddetta, ossia laddove viene scritto: “purché non sia l’unica”.

Sembra un inciso marginale rispetto alla verità di quello che viene esaminato e proposto, e invece riveste un valore del tutto particolare. Troppo spesso, infatti, nelle situazioni descritte sopra, nei rapporti di bene intimo e speciale, nelle relazioni di confidenza stretta, negli ambienti in cui vale davvero la “corrispondenza di amorosi sensi” si rischia davvero che troppe cose importanti rimangano implicite, non le si manifesti, non le si esprima in parole esplicite. Diamo in qualche modo per scontato che il nostro stile di attenzione parli di per sé, sia sufficiente, sia in grado di manifestare quello che proviamo. E invece – come sottolinea proprio Ravasi –  “non bisogna affidare tutto al piccolo gesto o all’intuizione dell’altro: certe relazioni si usurano e si spezzano perché si è avuta forse la pigrizia o il pudore di non dire all’altra persona in modo forte e chiaro quanto fosse preziosa, cara, insostituibile”.

Eccole, le parole dell’amore, durante la vita, fino all’ultimo istante di vita, perché siamo tutti umani e abbiamo bisogno di essere confermati e confortati nel nostro essere preziosi agli occhi e al cuore delle persone alle quali vogliamo bene.          

A viva voce o per iscritto? Non importa, non ci formalizziamo, non stiliamo classifiche di gradimento: ognuno di noi avverte comunque la necessità di sentire quelle parole, e di cogliere la verità dei sentimenti che le ispira e che le anima. Come già annotato sopra, la routine giornaliera, il dare per scontato, il considerare acquisito, la mancanza di un alfabeto di parole vere di amore rischiano di minare un rapporto, di inaridirlo, di metterlo in difficoltà, di esporlo alle fatiche dell’incomprensione, delle accuse reciproche, della crisi. Troviamo le parole, dunque, perché la vita è breve, scorre via veloce, e il tempo non può fermarsi. Perché l’inespresso, il celato, il non detto, anche in amore, può essere fonte di nostalgie, di rimpianti e di tristezze.

La “quiete accesa” del vero amore – come affermava il poeta Giuseppe Ungaretti – ha bisogno di pace silenziosa, sicuramente, fatta di piccoli gesti, ma anche di narrazione felice del bene vissuto insieme, di confidenza aperta, di voce del cuore.        

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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