“Do déi de vin” all’alba del 1° agosto: l’usanza trevigiana fra credenze popolari e prove di virilità

"Do déi de vin" all'alba del 1° agosto: l'usanza trevigiana fra credenze popolari e prove di virilità
“Do déi de vin” all’alba del 1° agosto: l’usanza trevigiana fra credenze popolari e prove di virilità

Come vale per molte tradizioni popolari, è difficile determinare l’origine dell’usanza trevigiana di bere “do dei de vin bianco” a digiuno la mattina del 1° agosto. La loro radice comune solitamente va ricercata in feste laiche paganeggianti, che un secolo dopo l’altro si sono trasformate mutando forma e significato. 

Nel caso della “colazione da campioni” del 1° agosto, questa è generalmente associata alla credenza contadina che il vino scongiurasse le febbri estive e c’è chi credeva allontanasse addirittura le vipere. “Un secolo fa, in particolare nei periodi caldi, si presentava il problema della siccità e di acque contaminate – spiega l’enologo Angelo Costacurta – è dunque credibile che l’atto di bere un bicchiere di vino tutto d’un fiato fosse associato qualità salutistiche, in particolare a proprietà disinfettanti che tenevano al riparo da disturbi come la dissenteria”.  

L’autore di enogastronomia Giampietro Rorato dal canto suo evidenzia lo stretto legame di questa curiosa tradizione popolare con la “Festa degli uomini” che nella Marca ricade il 2 agosto e che, in particolare nella zona di Fregona, corrispondeva al primo travaso del Torchiato. 

Stando all’esperto il bere un bicchiere di vino a digiuno era un’usanza riservata agli uomini quale dimostrazione di forza e virilità, quella che serviva per affrontare senza timore gli animali selvatici presenti nei boschi di collina e di pianura che un tempo, prima di lasciare spazio a coltivazioni, strade e fabbriche, popolavano la nostra regione. 

Ecco che in questa natura amica, ma non sempre ospitale, l’uomo doveva sfoderare la propria forza celebrandola e nutrendola con il vino che certo non mancava sulle tavole dei nostri contadini. 

“Il vino è una bevanda energetica non solo in termini calorici – sottolinea Rorato – il vino dà coraggio, aiuta a non avere paura del nemico e dà allegria: anche per questo era considerata una medicina contro i malanni più vari”. 

A fare da contraltare primaverile alla festa degli uomini c’è il tradizionale Calendimaggio dedicato alle donne, le cui caratteristiche variano in base alle regioni italiane.

“Se ad agosto si festeggiano gli uomini, non dimentichiamo che il primo maggio tocca alle donne – racconta l’autore de ‘La Grande Cucina della Marca Trevigiana” -. Il vino non era presente a questa festa dove a farla da protagonisti erano i fiori che venivano posati davanti alle case delle donne più desiderabili del paese, mentre le meno fortunate si ritrovavano con erba e fieno”. 

“Nel Mottense, dove sono cresciuto, la tradizione era talmente tanto sentita che la Basilica della Madonna di Motta di Livenza veniva spogliata da tutti i gerani che la mattina del primo maggio spuntavano davanti alle porte delle ragazze del paese” conclude Rorato.

(Foto: Qdpnews.it).
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