Due vite

“Due vite” è il tema filosofico di una saggezza molto antica nel tempo

Non è solo il titolo della famosa canzone di Marco Mengoni, vincitore dell’edizione 2023 del Festival della Canzone italiana di Sanremo. “Due vite” è anche il tema filosofico di una saggezza molto antica nel tempo, che rimanderebbe addirittura a Confucio: “Abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola”.

Riflessione non da poco, molto significativa, che sembrerebbe decisamente in contrasto con il nostro agitarci di continuo lungo i giorni febbrili della nostra esistenza quotidiana, specialmente in questo periodo contrassegnato da mille attività e iniziative anche collegate all’ormai prossimo Natale.

Una vita sola. Non una di più. Non un’altra occasione così unica e speciale. Una dinamica irripetibile. Eppure fatichiamo tantissimo a entrare in questi pensieri, ad esserne consapevoli, a renderci conto che non possiamo sprecare tempo prezioso in cose che non hanno rilievo, in occupazioni futili e banali, in percorsi privi di valore e di significato. Perché la vita è breve, non prevede repliche, non ammette il “bis”, e corriamo il rischio di arrivare al traguardo dei nostri giorni terreni senza aver lasciato il segno di un qualcosa di importante, con la nostra felicità, e soprattutto senza il ricordo negli anni della nostra buona vita, affidato in particolare a quanti ci hanno conosciuto e voluto bene.

Una possibilità unica, si diceva. Ma tutto entra nella “routine”, tutto si svolge dentro una narrazione spesso scontata in cui difettiamo di volontà e di intraprendenza, di propositi di  cambiare e di migliorarci, di desideri effettivi e concreti di spenderci per ideali alti e pienezza di umanità.

In pratica, paradossalmente, è come se a questa vita “di prova”, di “assaggio”, di “preambolo” introduttivo, dovessero seguire altre vite, altre opportunità, altre occasioni similari. Non ci curiamo a sufficienza di noi stessi, non ci curiamo abbastanza degli altri, e pensiamo di poter operare come sempre, con i medesimi canoni, stili e criteri, al ribasso, perché la conclusione dell’esistenza riguarda inevitabilmente il prossimo, e non noi sicuramente. Come se i bilanci definitivi, dell’unica vita, fossero solo in capo alle persone che ci stanno vicine, che conosciamo, che frequentiamo per i più svariati motivi, che fanno parte della nostra comunità. E che sono più avanti nell’età.

E invece … I nostri comportamenti sembrano spesso ispirati alla logica dell’immortalità, come se fossimo certi di dover vivere sempre e di non dover morire, e perciò di non dover arrivare mai al fatidico momento del rendiconto finale. Eppure…Le logiche mondane ci porterebbero a preferire di gran lunga i principi dell’accumulo e del possesso, le azioni mirate al soddisfacimento di successi e piaceri, a tutti i costi, la noncuranza di tutto quello che comporta invece l’essere parte di un tessuto sociale e di comunità, che discenderebbe dal dato evidente  che “nessun uomo è un’isola” e che “nessuno si salva da solo”.

E però … arrivano i momenti del dolore, della sofferenza, della malattia, della morte imprevedibile, improvvisa, prematura. Allora, tutto cambia, diventa differente, assume un’altra luce, riveste un altro significato. Ci fermiamo, blocchiamo il vortice dei nostri ritmi quotidiani, stoppiamo le consuetudini del nostro abitare la terra senza interiorità, traccia e consapevolezza.

Tutto diventa all’improvviso drammaticamente serio, inevitabile, ineludibile nelle sue domande e nei suoi tentativi di risposta. Le due vite, le tante vite che pensavamo di avere a disposizione, comunque, senza pensieri e senza problemi, in un  presente e in un futuro senza tempo, diventano una sola. Quella sola, l’unica rimasta, l’unica nella nostra disponibilità dall’inizio e da sempre, ma che noi pensavamo di utilizzare come un esperimento di azioni quotidiane centrate sull’autoreferenzialità e il soddisfacimento costante di noi stessi, avendo la salute perenne, l’agenda programmata, i traguardi certi e definiti, il cuore e il respiro infiniti. Mentre ci fermiamo e cerchiamo di capire meglio, di trovare ragioni, magari di trovare soluzioni e correre ai ripari, non possiamo non pensare, con un sentimento misto di nostalgia e di rimpianto, a tutta l’esistenza trascorsa, a quello che si poteva fare di bene e non è stato fatto, a quello che si poteva realizzare e non è stato invece messo in campo.

Alla vita buona che poteva essere, di amore donato e di felicità autentica, ai progetti rimasti sulla carta perché non siamo stati sufficientemente vigili, attenti, generosi. Soprattutto, a quanto tempo è andato perso, disperso e dissipato inseguendo falsi miti e illusioni, egoismi e vanaglorie, ambizioni e gelosie, edificando  muri alti e spessi, molte volte invalicabili, per separarci dalle vite e dai destini degli altri. Non solo non siamo stati abbastanza bravi a costruire reti efficaci di bene comune, per tutti e per ciascuno, ma abbiamo assecondato inclinazioni e sentimenti di competizione esasperata, di ostilità e di conflittualità con l’umanità accanto a noi.

Senza risultati, senza frutto e senza costrutto, con l’unico esito dell’amarezza profonda e del rammarico per tutte le occasioni favorevoli che non abbiamo saputo considerare e sfruttare, ormai irrimediabilmente perdute, che non torneranno mai più. Forse è il caso di fermarsi a pensare prima che arrivino questi momenti, senza appello, e a mutare visione e strategia, prima che sia troppo tardi. L’unica vita che abbiamo, quella sola, ci affascina e sorride ogni giorno, e in ogni momento ci offre nuove possibilità di cambiare noi stessi e il mondo insieme a noi.          

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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