E’ spesso il grande assente nelle pratiche quotidiane della società in cui viviamo, un po’ triste, un po’ sola. In varie occasioni, manca infatti nelle nostre giornate – ritornate vivaci, frettolose e prese da tanti impegni – la naturale attitudine a salutare, a fare un cenno, a riconoscere con un sorriso l’umanità che ci passa accanto.
Senza andare troppo lontano indietro nel tempo, questa bella consuetudine faceva parte di un costante rito quotidiano, sempre presente, addirittura dentro una formalità che non era possibile evitare. A scuola, sul posto di lavoro, nelle riunioni pubbliche, nelle prassi quotidiane il saluto era un passaggio necessario, scontato, a squisita valenza sociale, un segnale eloquente di distinzione, educazione, forma e rispetto.
Di fatto, un modo garbato e condiviso di conoscenza degli altri, e di ri-conoscenza per la vita insieme, che nasce innanzitutto dalla comprensione dell’esistenza personale di ciascuno, primo ed essenziale fattore di comunità. Salutare era un segno necessario e distintivo di buona educazione.
Da un certo punto in poi, invece, nell’immaginario collettivo sono cambiati il valore e il significato del saluto. Ora siamo tutti più guardinghi e sospettosi, concentrati e ripiegati su noi stessi, occupati e preoccupati dai pensieri personali. Spesso alziamo lo sguardo, ci accorgiamo delle persone che abbiamo di fronte, osserviamo volti e comportamenti, addirittura ci mettiamo nella condizione di fissare l’aspetto, l’abito, l’incedere.
Ma il saluto non parte, il saluto non arriva: tutto procede e fluisce senza quel cenno naturale, quel sorriso benevolo e beneaugurante, quella parola semplice pronunciata che si declina in “buongiorno” e “buonasera”. E’ anche una sorta di piccola gara di primazia: non ho bisogno di salutare, non conosco, non serve, non ho tempo e poi, tocca agli altri per primi, non certo a noi, per un malinteso senso di superiorità che alimenta un’attitudine verso il mondo lontana dalla sim-patia e dalla com-passione.
Al tempo stesso, il più delle volte preferiamo l’altra vita, altrove, l’alibi di essere impegnati a guardare sullo schermo dell’immancabile smartphone gli ultimi messaggi, il mondo virtuale, le informazioni che arrivano da ogni dove e ci costringono ad essere sempre sul pezzo, in tempo reale. Non bussano alla nostra mente e al nostro cuore, non hanno bisogno di salutare. Hanno la nostra preferenza, comunque, e una sicura precedenza. Sempre, di fatto.
E mentre l’esistenza vera ci scorre accanto, fatta di persone concrete e di volti quotidiani, il saluto spesso scompare, diventa rarefatto, circoscritto, limitato, riservato a pochi, spesso senza trasporto e senza sentimento.
Eppure basterebbe un saluto leggero e col cuore, per gustare una vita migliore, meno triste e meno sola, a cominciare dalle piccole cose. Ce la possiamo ancora fare. Nulla lo vieta. Recuperare leggerezza e simpatia, buonumore e cortesia è possibile. Ogni giorno, ricordando che siamo persone e comunità, e serve curare le buone relazioni con tutti. Il sorriso della vita è sempre dietro l’angolo, può diventare un grande aiuto la decisione di cambiare, di non essere indifferenti, di ritrovare il piacere di piccoli e significativi gesti di umanità e di gentilezza.
Basta crederci. Un saluto ci salverà.
(Foto: Freepik).
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