Si celebra oggi martedì 28 febbraio la giornata mondiale delle Malattie Rare. Giornata istituita per la prima volta nel 2008, e che “cade” il 29 febbraio – “giorno raro” per eccellenza – negli anni bisestili, il 28 negli altri anni.
Stefano Berto, professore di 39 anni originario di Spresiano, dopo la laurea in biologia all’Università di Padova si è trasferito all’estero ed ora è professore all’Università del South Carolina negli Stati Uniti, specializzato in neuroscienza (biologia computazionale-analisi genomica del cervello).
Oggi il professore studia le malattie rare e il motivo è lui stesso a spiegarlo “Questa scelta è stata semplice: si sa ben poco di queste malattie e io voglio aiutare le persone colpite, così come voglio aiutare le loro famiglie”.
Professore, come è arrivato a studiare le malattie rare?
“Il mio è un processo di maturazione scientifica che è iniziato molto tempo fa dopo una serie di eventi fortuiti. Ho lasciato l’Italia durante la laurea specialistica in biologia evoluzionistica. Mi ero trasferito in Finlandia e durante gli esperimenti stavo leggendo un libro di Jane Goodall riguardo l’evoluzione dei primati e della cognizione. Jane fu una musa ispiratrice e mi appassionai moltissimo dell’evoluzione dell’uomo e dei nostri tratti cognitivi.
Decisi, senza pensarci due volte, di cominciare un dottorato centrato sull’evoluzione del cervello a Lipsia in Germania. Durante il dottorato, ho cominciato a valutare meglio una delle ipotesi principali della medicina evolutiva ovvero che ciò che ci rende unici ci rende anche inclini a malattie.
Ho avuto la fortuna di studiare le malattie del neurosviluppo come autismo e schizofrenia, integrandole con l’evoluzione del cervello durante il mio post-dottorato nel laboratorio del dottor Genevieve Konopka nell’University of Texas Southwestern Medical Center.
È proprio qui che ho cominciato a lavorare anche con le malattie rare come i disordini del neurosviluppo causati dalle mutazioni rare nei geni. Ho iniziato ad apprezzare l’importanza dello studio di queste malattie e la loro complessità biologica“.
È vero che il cervello è un organo complicato?
“Si, il cervello è estremamente complesso, si sa ancora poco, e capire come queste malattie monogeniche (causate da un singolo gene mutato) impattino la sua funzione è fondamentale soprattutto per capire come sviluppare terapie mirate per questi pazienti.
Con queste esperienze nel bagaglio, sono diventato professore nel dipartimento di neuroscienza nel più grande policlinico della South Carolina e il mio laboratorio è dedicato ad autismo e disordini del neurosviluppo. Collaboro con il capo del dipartimento per studiare MEF2C haploinsufficiency syndrome e studio altri due geni, uno legato all’autismo ed uno, CHAMP1, che provoca una malattia rara del neurosviluppo”.
Quante sono le malattie rare fino ad ora scoperte?
“Ci sono più di 6000 malattie rare e più di 300 milioni di individui colpiti da queste malattie che sono spesso associate a mutazioni rare, cioè che hanno una bassa frequenza nella popolazione, ma che hanno un impatto molto severo nel fenotipo, cioè l’aspetto e/o i tratti cognitivi, dell’individuo.
A differenza di malattie poligeniche, come autismo, schizofrenia, obesità, diabete che hanno un’alta frequenza nella popolazione e che sono associate a tanti geni con varianti comuni ad alta frequenza ma con piccolo impatto, le malattie rare tendono ad essere legate ad un singolo gene”.
E quindi perché è importante approfondire lo studio di queste malattie?
“Perché, sebbene queste malattie siano estremamente severe (basti pensare alla distrofia muscolare Duchenne), la loro singolarità le rende più semplici da studiare.
Spesso queste malattie sono studiate molto meno e sono meno diagnosticate rispetto a quelle comuni. Questo fa si che i geni che causano la malattia sono spesso scarsamente caratterizzati e, di conseguenza, tutte le scoperte sperimentali sono nuove e avvincenti.
Questo può aprire diversi scenari e direzioni di ricerca, aumentando non solo la conoscenza ma anche le potenziali direzioni terapeutiche. L’altro aspetto è la caratteristica principale di queste malattie: sono spesso causate da un solo gene. Questo ne facilita la diagnosi e con i mezzi odierni (sequenziamento del genoma) è sempre più facile scovarle.
Un altro punto fondamentale è ciò che noi chiamiamo pleiotropismo cioè geni che hanno effetti su più tratti o malattie. In questo caso studiare un gene legato ad una malattia rara diagnosticata recentemente può avere un impatto nella conoscenza per le malattie comuni e viceversa.
Ma per me il punto più importante sono le persone colpite da queste malattie e le loro famiglie. Le persone colpite da malattie rare hanno bisogno di aiuto e le famiglie di uno spiraglio di speranza e di conoscere la malattia se possibile.
La conoscenza aiuta le famiglie a togliersi molti sensi di colpa e a capire meglio la persona cara affetta da questo tipo di malattia.
Ho avuto il privilegio di incontrare e interagire con le famiglie della fondazione per il gene che studio in laboratorio e i loro figli. Alcune di questo sono italiane. Grazie a quell’incontro ora riesco a capire il divario tra noi e loro e di cosa hanno bisogno. Ora ho un obiettivo ancora più chiaro.
Le famiglie e i loro cari colpiti da queste malattie sono il cuore, il motore e la motivazione per noi ricercatori. Alla fine alla domanda “perché è importante studiare queste malattie?” rispondo riassumendo così: per loro“.
Lei da poco sta seguendo il caso di una bambina veronese. Ci spieghi questa storia
“Ancora una volta un evento fortuito. Tutto nato da un’interazione social con una persona che conosceva questa famiglia e che mi segue su Twitter e Facebook. Mi aveva contattato per chiedermi se potessi fare “consulenza” o meglio, quattro chiacchiere con loro, per capire cosa si dovrebbe fare in questi casi.
La loro bambina soffre di un disordine del neurosviluppo sconosciuto con comportamenti autistici-simili, problemi con il linguaggio, e una lieve disabilità intellettuale.
La famiglia mi ha poi contattato in privato, condividendomi le analisi genetiche fatte fino a quel momento, e ho consigliato cosa si poteva fare in aggiunta a quello già fatto per avere una più completa analisi genetica.
Lo scorso Natale ero a casa e dato che non li avevo mai incontrati di persona, mi sono recato a Verona per incontrare la piccola. Diversi caffè, qualche chiacchierata assieme, qualche abbraccio con la piccola, e una cena. In quella bellissima giornata abbiamo discusso nuovamente dei dati genetici a disposizione, per me non ancora completi, e delle possibilità di fare un ulteriore sequenziamento del DNA che si chiama whole genome sequencing.
Questo ti permette di analizzare tutto il genoma in modo dettagliato e valutare il DNA nella sua completezza. Purtroppo, dato che stanno ancora aspettando da due anni circa l’analisi fatta da una clinica italiana, hanno deciso di fare un ulteriore sequenziamento tramite una azienda/laboratorio privato.
Ho consigliato l’unico che conoscevo in Europa ma ne esistono diverse e stiamo aspettando l’analisi. Dopo questa analisi ci siederemo davanti ad un caffè e aiuterò la piccola ad avere una diagnosi, logicamente in base ai dati disponibili. Come ho detto ai genitori, la mia speranza è che questa analisi del DNA scopra un gene conosciuto e con una fondazione alle spalle che mette in contatto non solo le famiglie ma pure esperti nel campo.
Questo faciliterebbe la comprensione del disordine e aiuterebbe i genitori con informazioni, conoscenza, e magari contatti. Se invece si tratta di una mutazione nuova, totalmente sconosciuta, ed estremamente rara in letteratura scientifica, ho promesso loro che cercherò di studiarla nel mio laboratorio.
Come dicevo prima, le persone colpite da malattie rare e le famiglie sono fondamentali per noi che studiamo queste malattie, sono la nostra forza. Aiutarle, anche con la semplice conoscenza, è ciò che voglio fare e che continuerò a fare”.
Come valuta lo studio di questo “settore” in Italia? E secondo lei dove si può migliorare?
“Altra bella domanda. Lo considero ancora un po’ acerbo e limitato rispetto ad altre nazioni ma, da quanto sembra, stanno cercando di potenziare questo campo, perciò, spero in un futuro migliore.
Si potrebbe migliorare sotto molti aspetti, non solo riguardo la ricerca. Mi piacerebbe ad esempio vedere più sequenziamento del genoma (il primo passo per trovare mutazioni in geni che possono determinare una malattia o disordine).
In South Carolina stiamo lavorando per avere la nostra biobanca del DNA cercando di sequenziare il genoma di tutta la popolazione. Questo avrà un impatto biomedico enorme (cosa che sappiamo già visto che l’Inghilterra ha già la propria banca dati).
L’altra cosa che si dovrebbe migliorare è la consulenza genetica: una volta trovata la mutazione parlare con la famiglia, condividere la conoscenza riguardo il gene, cosa si sa, cosa non si sa, e le direzioni future di ricerca o farmacologia.
Purtroppo, molto spesso, come dicevo prima, sono malattie poco conosciute con geni poco conosciuti ma spiegare i dati biomedici riguardo il gene facilita la comprensione da parte dei genitori o famigliari e molto spesso toglie tanti sensi di colpa.
L’ultimo aspetto è l’essere seguiti da personale competente: ho notato che esistono pochi centri specializzati e molto spesso le famiglie sono lasciate totalmente da sole.
Da quanto ho capito, in Veneto, esiste poco per questo tipo di malattie. Questo non dovrebbe capitare e forse è l’aspetto più importante da migliorare. Cosa serve diagnosticare una malattia rara, dove il soggetto ha comportamenti autistici e lieve disabilità intellettuale, se poi i soggetti stessi sono lasciati da soli con genitori incapaci di capirli o di allevarli?
Bisogna rendersi conto che queste famiglie, magari composte da un operaio e una casalinga, non hanno il training necessario per sviluppare al meglio il rapporto ma anche le stesse capacità del figlio o figlia con una malattia rara. Hanno bisogno di imparare ma se non esiste nessuna struttura, nessun centro specializzato, o non c’è una persona di riferimento è praticamente impossibile”.
(Foto: per gentile concessione di Stefano Berto).
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