La cortese risposta

“Domandare è lecito, rispondere è cortesia” recita il famoso detto popolare

Anche lo scrittore Romolo Bugaro, autore del romanzo di successo “I ragazzi di sessant’anni” (Einaudi editore), parla di “…un esercito di uomini e donne spiaggiati nel lavoro autonomo o nella libera professione … che si dibattono disperatamente tra clienti pieni di diffidenza e funzionari… che ignorano le loro mail”. 

E’ come la presa d’atto, anche nel campo della letteratura che va per la maggiore in questa fase, di una difficoltà evidente, una criticità diffusa, un malvezzo poco edificante. In pratica viene messa in discussione in tanti atteggiamenti della nostra quotidiana normalità l’espressione del famoso detto popolare “Domandare è lecito, rispondere è cortesia”.

Qualcuno potrebbe dire: inutile lamentarsi per le mancate risposte, in tanti casi questo dipende dal contenuto e dal tono di quello che si chiede, dalla forma non sufficientemente chiara e precisa, dalle situazioni in cui si trova concretamente a vivere la persona che viene investita di una domanda e che magari constata l’oggettiva impossibilità di corrispondere alla richiesta. Tutto vero: sta di fatto che nella prassi di ogni giorno, nel consueto delle dinamiche relazionali e lavorative, i silenzi troppo spesso si impongono al posto delle comunicazioni in risposta, con l’imbarazzo dei richiedenti che si trovano a dover ipotizzare le ragioni delle parole non dette, dei testi non scritti, delle tanto attese mail non arrivate a destinazione nella propria casella di posta elettronica.

Sì, perché nel vorticoso giro della corrispondenza telematica che oggi alimenta i percorsi della comunicazione digitale, immediata e diretta tra le persone, a tutti i livelli, sembra essersi ormai affermata una certa prassi di lasciar perdere le risposte, di non curarsi troppo delle informazioni da dare, di procrastinare a giorni che verranno l’adempimento della naturale cortesia di corrispondere a quello che viene richiesto. A meno che si tratti di un passaggio commisurato a un interesse concreto, personale e specifico del destinatario della missiva elettronica, per cui la fatidica conferma dell’arrivo della mail e la conseguente specificazione scritta non tardano mai ad arrivare, per la soddisfazione di chi ha inoltrato per primo la fatidica questione da evadere.

Spesso questa abitudine poco edificante di tralasciare i riscontri a chi lecitamente chiede si estende anche ad altri ambiti più normali e leggeri della vita quotidiana, come le telefonate e i messaggi whatsapp. Tradotto: componiamo il nostro numero di cellulare e nessuno risponde. Soprattutto, nessuno richiama. Ancora: scriviamo il classico messaggio urgente in whatsapp, diventata oramai la via abituale, consueta e scontata di colloquio tra le persone.

Il problema sopravviene quando, verificata  l’avvenuta lettura da parte dell’interlocutore, non si registra nessuna risposta, nell’immediato o comunque in tempi ragionevoli. Si scatena la ridda di ipotesi nella mente e nel cuore del diretto interessato, sulle ragioni dei silenzi e dei ritardi, situazione che in varie occasioni rischia di ingenerare possibili malintesi e tensioni, equivoci e preoccupazioni sui mancati segnali di riscontro alle proposte di dialoghi e comunicazioni, a volte anche urgenti.

Forse in generale si tratta ormai di rivedere uno stile, un modo di fare, un approccio: rispondere in maniera pronta ed efficace è sempre cosa buona e opportuna, come del resto sosteneva il famoso detto popolare tramandato finora di generazione in generazione. Certo, oggi il numero e la qualità delle comunicazioni in campo rischia di essere insostenibile, e di richiedere uno sforzo di attenzione, cura e memoria davvero importante per poter essere soddisfacente nel rapporto domanda – risposta.

A volte ci pensa la voce “spam” a fare pulizia del materiale in arrivo, ma questo non basta, non è sufficiente: per una migliore qualità della vita di tutti e di ciascuno occorre saper rispondere, ossia essere “responsabili”, come ci indica chiaramente l’etimologia stessa della parola. Nei percorsi educativi, quante volte proprio il termine “responsabilità” viene associato all’idea di un sentire maturo, di una capacità di avere coscienza e consapevolezza di quello che si dice e di quello che si fa, di una avvertenza sulle conseguenze delle proprie azioni e dei propri comportamenti, a tutti i livelli!

Ebbene, nelle sue radici di significato tutto nasce dalla capacità effettiva di rispondere, dalla precisa attitudine a rendere ragione di quello che viene richiesto, dalla predisposizione di pensiero e di cuore a dare valore a quanto viene sottoposto all’attenzione da una persona, vicina o lontana. Sicuramente vengono richiesti modi urbani e civili al soggetto che pone la domanda, qualunque essa sia, perché l’educazione rappresenta sempre una condizione desiderata e necessaria per poter avviare un dialogo proficuo. Allo stesso tempo, chi è “responsabile”, perché sa rispondere di se stesso e delle cose del mondo, non teme mai le domande, neppure le più scomode, perché la leggerezza e l’ironia, condite da una sana intelligenza, permettono di affrontare e risolvere gli argomenti più delicati e più difficili.

Si tratta di dedicare alla cura delle relazioni il tempo necessario e ragionevole, perché la distanza, l’assenza, il ritardo, il vuoto delle risposte, di fronte a domande legittime e pertinenti, concorrono indubbiamente a rendere più complicato e disagevole il corso della vita, già oggi compressa entro ritmi e dinamiche spesso non soddisfacenti.

Pensiamoci su: prendiamoci sempre la responsabilità di rispondere, nei tempi e nei modi adeguati, con la cortesia e la saggezza di chi ha capito davvero i valori in gioco di un nuovo, felice umanesimo.           

(Foto: archivio Qdpnews.it).
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