Appello di oltre 50 società venete sull’obbligo di Green pass nei campi da calcio: “Nessun bambino resti fuori, basta alle regole discriminatorie”

Dopo le lettere dei presidenti di Emilia Romagna e Toscana, a muoversi per portare in campo tutti i ragazzi sono le società dilettantistiche del Veneto.

C’è stato l’appello portato all’attenzione del commissario della LND Giancarlo Abete firmato da oltre 50 società dilettantistiche del Veneto sulla questione ancora irrisolta dell’obbligo di Green pass sui campi da calcio per tutti i giocatori sopra i 12 anni. 

“Questa volta “basta” lo gridiamo noi. Basta verso le regole che discriminano i ragazzi! Basta con questi protocolli incomprensibili che spaventano, disorientano e isolano tanti nostri ragazzi nel praticare sport! – affermano i team – È un nostro dovere etico e morale, come società sportive, tutelare i minori, anche di fronte a leggi o decisioni inique imposte dall’alto: dallo Stato e/o dalle Federazioni Sportive. Abbiamo sulle spalle un duro compito. Non solo quello di insegnare uno sport (il calcio nel nostro caso) ma essere, prima di tutto, educatori. E un educatore, come un buon insegnante, si batte per l’integrazione, non per la discriminazione. Lo Sport deve sempre unire e mai dividere“.

“Stavolta ci viene chiesto di rispettare un decreto che rispecchia una reale divisione sociale nei confronti di bambini dai 12 anni in su. E non parliamo di ambienti chiusi o stretti come potrebbero essere gli spogliatoi, ma di un campo da calcio all’aperto! Un decreto che, invece di aiutarci, ci “impone” di dividere in modo diseducativo e pericoloso. Si mette in gioco la crescita di tutti; dai ragazzi a noi adulti. Come società sportive ci siamo poste, dalla nostra nascita, il compito di educare alla coesione, di unire e non dividere, di integrare e non creare differenze”.

“A noi che siamo sempre stati, nel nostro settore, in prima linea a batterci per regalare un sorriso a dei ragazzi con tutte le precauzioni sanitarie possibili e protocolli ministeriali. Ed è proprio per questi sacrifici che non vogliamo fare distinzioni dicendo a dei ragazzi che probabilmente non capirebbero le motivazioni dovute alla pandemia ma ne coglierebbero solo il “lato” di una discriminazione senza motivo: “Tu puoi entrare e tu no”. Risultato? Uno sport (non solo il calcio) a noi così non piace. Le statistiche ufficiali parlano di danni psicologici della pandemia e denunciano un aumento esponenziale di bambini e adolescenti demotivati, disorientati e depressi” precisano.

“Non stiamo parlando di “volti” anonimi, non conosciuti. Stiamo parlando di quelli che sono i nostri figli o figli di nostri amici. Troppo facile girarsi da un’altra parte perché il ragazzo non veste “i nostri colori” e appartiene a un’altra squadra. Troppo facile far finta di niente quando il problema investe tutti noi. Scusateci, ma noi diciamo “No! Vogliamo continuare a essere prima di tutto educatori e formatori”” concludono le società.

Una questione spinosa e che è destinata a far ancora discutere sia nell’àmbito sportivo che in quello lavorativo.

(Foto: web).
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