Coronavirus e impresa: partendo dal protocollo condiviso, le misure per lavorare in sicurezza nelle aziende

 

La pandemia da Coronavirus è un’emergenza di portata mai affrontata prima in Italia, una crisi che ha messo in ginocchio la nazione intera, a ogni livello. 

La maggioranza delle aziende si è trovata costretta a chiudere i battenti ma per le attività che secondo il codice Ateco possono continuare a rimanere operative, un modo per lavorare in sicurezza c’è.

Grazie alla pronta riorganizzazione del tessuto produttivo infatti le imprese che si trovano ancora attive hanno adottato una serie di misure volte a tutelare la salute di tutti gli attori coinvolti. 

“Per quanto riguarda la pandemia che stiamo vivendo, nell’ambito dei lavoratori non si può definire propriamente un rischio legato al lavoro e alla tipologia delle lavorazioni  – illustra la dottoressa Silvia De Pieri, responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) del Policlinico San Giorgio, casa di cura privata di Pordenone, e responsabile area tecnica di Satec formazione a Jesoloi datori di lavoro sono quindi tenuti a prendere delle misure di contenimento alla diffusione. Questo si traduce nella tutela a livello “sociale” ovvero ridurre o eliminare il contatto tra lavoratori, istruendoli ed educandoli a sanificare le superfici, mantenere la distanza di sicurezza, lavaggio delle mani ecc. 

È questa la problematica che insiste sulle aziende, fa sapere, perché il problema consiste nel separare fisicamente le persone: “Dal momento che siamo allo stesso tempo untori e possibili contagiati, e dal momento che non possiamo saperlo in modo definitivo, le attività che possono garantire una distanza di sicurezza, e che rientrano nei codici Ateco autorizzati dal Governo centrale possono continuare a essere produttive, le altre dovranno fare un passo indietro”.   

Ma in che modo si inserisce in questo quadro la figura del medico di competenza? La dottoressa De Pieri precisa che si tratta di un ruolo fondamentale: “Innanzitutto è il primo in azienda a identificare quei lavoratori più “fragili” e facilmente contagiabili, per cui, nei limiti del possibile, sarà necessario un cambiamento temporaneo di mansione o uno spostamento di reparto per limitare il contatto con agenti esterni”.

In seguito il medico competente dovrà proseguire con il monitoraggio delle condizioni sanitarie, ma anche garantire che i dipendenti vengano tutelati dal datore di lavoro stesso, ed è in questo frangente che entra in gioco l’aspetto pratico, definito dal Protocollo del 14 marzo, con il quale si fa un giro di vite sulla tutela dei lavoratori.

Si chiede infatti all’azienda di mettere in atto delle misure di protezione che vanno dalla corretta informazione, alla gestione responsabile delle aree comuni, alla garanzia della disponibilità di prodotti igienizzanti così come di mascherine. 

Non solo: il protocollo introduce anche, per le realtà più strutturate – precisa la dottoressa De Pieri – anche l’istituzione di un comitato di vigilanza, con il ruolo di monitorare la corretta condotta sanitaria sia del datore di lavoro che dei lavoratori”.

Lo stesso comitato, per essere operativo nel miglior modo possibile, sarà composto da personale formato e competente: medico, Rspp, e Rls (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza) unitamente alle rappresentanze sindacali.

Questi meccanismi messi in moto a livello di prevenzione garantiscono la tutela dei lavoratori e del datore di lavoro, nonché delle persone con cui si trovano a contatto fuori dall’ambiente lavorativo.

Salute e sicurezza quindi le parole chiave per permettere, alle aziende a cui è concesso, di lavorare nel rispetto di tutte le normative in vigore, atte a contenere la pandemia. 

 

(Fonte: Alice Zaccaron © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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