Dentro l’inferno di Gaza, la testimonianza shock della blogger Abuhamdiya: “Un genocidio”

La chef e blogger palestinese Fidaa Abuhamdiya

Non sono mancate le reazioni alla pronuncia della Corte internazionale dell’Aja sulla situazione in Palestina dopo le accuse del Sudafrica, mosse contro Israele, in merito alla violazione della Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio.

Secondo i giudizi dell’Aja, nella guerra in corso Israele deve prevenire qualsiasi azione che si possa configurare come genocidio a danno del popolo palestinese.

Una bambina cerca del cibo in una baraccopoli

La chef e blogger palestinese Fidaa Abuhamdiya ha voluto raccontare a Qdpnews.it – Quotidiano del Piave la situazione della guerra nel suo Paese.

Abuhamdiya è nata il 31 ottobre del 1982 a Hebron, dove ha vissuto fino a 18 anni prima di spostarsi per due anni a Gerusalemme. Si è sempre occupata di ristorazione, una passione che nel 2004 l’ha portata in Italia dove ha frequentato il corso di Scienze e cultura della gastronomia e della ristorazione dell’Università di Padova e ha lavorato al ristorante “Le Calandre” nel villaggio di Sarmeola di Rubano.

È impegnata nella divulgazione della cucina italiana in Palestina e della cucina palestinese in Italia ed è autrice, insieme a Silvia Chiarantini, del libro “Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese. Salam cuisine tra Gaza e Jenin”. Innamorata del Belpaese, è anche interprete giurata di italiano e arabo e ha insegnato antropologia del cibo.

L’Inferno di Gaza

Ora vive a Ramallah, in Cisgiordania, dove, dopo l’inizio della guerra, la vita è sempre più difficile anche se non può essere paragonata all’inferno che si vive nella Striscia di Gaza.

La situazione a Gaza è indescrivibile – spiega Abuhamdiya -. Ho un’amica che vive lì con le sue tre figlie e mi ha raccontato che manca tutto, dal cibo all’acqua passando per l’elettricità e altri beni di prima necessità. Con l’arrivo del freddo le cose sono peggiorate. Lei deve camminare per circa un’ora per raggiungere un punto dove può accedere ad internet. A Gaza le persone mangiano una sola volta al giorno. Mi è capitato di incontrare recentemente il Ministro della Cultura dell’Autorità Nazionale Palestinese, che è riuscito ad uscire da Gaza dopo 85 giorni. Era dimagrito molto e mi ha detto di essere scampato alla morte in più occasioni”.

“Nelle tende, ovviamente, è impossibile dormire – continua -. Il primo pensiero al mattino è quello di cercare la legna e il cibo per se stessi e per la propria famiglia. Il tasso di disoccupazione è altissimo e tantissima gente si è impoverita e vive nella miseria. È molto difficile uscire da Gaza, serve l’approvazione degli egiziani e degli israeliani e bisogna pagare una cifra molto alta. Tanti ospedali non funzionano e in molte occasioni hanno costretto i feriti ad uscire dagli stessi. Diversi bambini, nati prematuri, sono morti perché manca l’ossigeno nelle strutture sanitarie”.

Abuhamdiya ha parlato anche di minori ai quali vengono amputati gli arti senza anestesia, come avviene anche per i tagli cesarei alle partorienti negli ospedali.

Danni alle case dovuti ai continui bombardamenti

Scarseggiano i medicinali – prosegue – e mi hanno raccontato di vermi che escono dalle ferite dei pazienti. Non esagero se parlo di un vero e proprio genocidio in corso davanti agli occhi di tutto il mondo. A me dispiace vedere i bambini morire così, molti hanno l’età di mia figlia. L’epatite A è molto diffusa a Gaza, dove c’è sempre più inquinamento anche per i residui bellici. Non intendo entrare in questioni politiche, ma voglio dire a gran voce che per me la violenza genera violenza ed è sempre una scelta che non condivido”.

In questo caso la chef e blogger palestinese si riferisce a quello che è successo lo scorso 7 ottobre, il giorno del terribile attacco di Hamas ad Israele, che ha scatenato un vortice di violenza senza fine.

Una tendopoli di Gaza

“Non possiamo punire un popolo per le colpe di un gruppo di persone – aggiunge -. I palestinesi stanno pagando un prezzo troppo grande e questo orrore deve finire. Ovviamente siamo delusi dall’Occidente, ma anche dal mondo arabo che, a parte qualche corteo di protesta, ha fatto poco per far finire le sofferenze della nostra gente. Noi abbiamo sempre la speranza che le cose possano cambiare. Se non ci fosse la speranza, non vedresti centinaia di persone che stanno in coda per quattro ore per prendere il pane o che fanno un’ora di strada per scaricare dei libri con internet”.

“Se potessi rivolgermi direttamente ai ‘grandi del mondo’ – sottolinea – chiederei loro di fermarsi, mettersi una mano sulla coscienza e far vivere in pace questi esseri umani. Abbiamo detto che a Gaza la situazione è drammatica, mentre in Cisgiordania, dove vivo, ci sentiamo tutti in un grande carcere. Ci sono cancelli all’ingresso delle città, posti di blocco e non mancano le violenze dei coloni israeliani. Spostarsi da una città all’altra è diventato sempre più difficile e complicato: se non hai un motivo valido è praticamente impossibile uscire”.

“Per questo sei spinto ad isolarti e a rimanere nella tua città – conclude -, dove comunque siamo tutti controllati. Tutte le mattine nelle radio italiane vengono date le informazioni sul traffico. Ecco, da noi le radio ci informano sui posti di blocco o sugli accessi a determinate aree che aprono e chiudono per alcune ore. Sono preoccupata per mia figlia, alla sua età ho vissuto la prima intifada, poi gli Accordi di Oslo e la seconda intifada. Adesso la situazione è ancora drammatica. Ci sono tantissime persone che hanno perso il lavoro e in generale la gente si sta impoverendo. Quando esci di casa, non sai mai se le strade sono sicure e la paura ti sconvolge l’anima“.

Abuhamdiya ha parlato anche di “genocidio dei luoghi e dei ricordi“, perché alcuni militari che entrano nelle case di Gaza distruggono i vestiti, gli oggetti e i ricordi dei palestinesi per cancellare la loro storia e la loro identità.

(Foto: per concessione di Fidaa Abuhamdiya).
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