Francia, esplode la violenza dopo la morte del 17enne algerino Nahel. L’esperta: “Fallimento di quel ‘modello’ di integrazione”

La violenza si diffonde in modo preoccupante in tutta la Francia dopo la morte del giovane Nahel, il 17enne algerino ucciso lo scorso 27 giugno a Nanterre, alle porte di Parigi, da un colpo di pistola partito da un poliziotto che lo aveva fermato per un controllo documenti, mentre stava guidando l’auto.

Il tragico episodio ha spinto tantissime persone a protestare nelle strade, dalla capitale a Marsiglia passando per Lione ed altri centri, facendo sentire, con slogan e atti vandalici, la loro contrarietà alla situazione che si è venuta a creare in Francia.

Auto e mezzi pubblici dati alle fiamme, vetrine distrutte, assalti alle prefetture, roghi nelle strade e centinaia di arresti e fermi di manifestanti sono il preoccupante scenario al quale stanno assistendo impotenti da giorni i francesi.

Non ha nascosto la sua preoccupazione la dottoressa Daphné Reguiessé, cittadina francese residente da tempo a Padova e impegnata da anni in tematiche legate all’integrazione e alle relazioni tra comunità straniere in Italia, Francia e India.

A sinistra la dottoressa Daphné Reguiessé

Reguiessé si è laureata in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani nell’Università degli Studi di Padova e ha conseguito un dottorato in Sociologia e Antropologia Urbana e delle Migrazioni all’Università Iuav di Venezia.

Condivido la preoccupazione per quello che sta succedendo in Francia con mio fratello e i miei genitori – racconta la dottoressa Reguiessé -, che vivono rispettivamente a Parigi e Avignone. Come era facile intuire, questo fatto sta avendo un’ampia copertura mediatica in Francia, alimentando l’astio e la violenza che continuano anche in queste ore. Parliamo di una reazione sproporzionata ad un tragico fatto di cronaca spinto dai social. Nel video dei poliziotti che hanno fermato il ragazzo, si sente uno di loro che gli dice: ‘Tira fuori i documenti altrimenti ti sparo una pallottola in testa’ con il collega che lo invita a sparare”.

“L’Algeria – continua -, Paese di provenienza del giovane, ha voluto richiamare l’attenzione a livello internazionale, definendo quello che è successo un attacco contro la nazione algerina, e richiamando alla Francia il suo ‘dovere di protezione’ nei confronti dei cittadini algerini. Negli ultimi anni sono avvenuti altri casi analoghi di violenza della polizia nei confronti di civili. Una preoccupante escalation che si aggiunge alla ribellione nei confronti di tutta una serie di ingiustizie che una parte della popolazione francese ritiene di subire ogni giorno”.

“Era stata chiesta l’abrogazione della legge che limita le riprese della polizia – spiega -. Dal 2021, infatti, la questione della ‘protezione della polizia’ sopra quella dei cittadini è al centro di tanti dibattiti. Chi sta dando fuoco alle macchine e ai bidoni della spazzatura sono soprattutto ragazzi che si sono immedesimati nella storia di Nahel. Sono spesso giovani, seconde o terze generazioni, che hanno identità confuse e che vivono in zone periferiche delle grandi città o nelle famose banlieue parigine”.

Reguiessé non ha paura ad utilizzare il termine “guerra civile” per descrivere quello che sta succedendo nel suo Paese.

“In Francia stanno pensando di attuare lo stato di emergenza – prosegue – e ovviamente la politica sta cercando di sfruttare la situazione per i propri tornaconti elettorali. Credo che tutto questo mostri il fallimento dell’integrazione francese, oltre all’incapacità di vedere possibili soluzioni ai problemi senza ricorrere alla violenza. L’Italia ha una visione ottimistica del sistema di integrazione della Francia, famosa per il multiculturalismo e per un sistema socio-sanitario che aiuta tutti. Questo era vero fino a 20 anni fa ma adesso, con il ricambio generazionale, le cose sono cambiate. Abbiamo generazioni di cittadini di origine straniera che hanno la necessità di rivendicare un’identità e di capire chi sono”.

Spesso non mi sento sicura quando cammino da sola in Francia – aggiunge -, soprattutto quando lo faccio la sera in determinati contesti. A Parigi come a Marsiglia ci sono delle zone off-limits anche per le forze dell’ordine, dove si possono incontrare persone che hanno il veleno negli occhi. È sempre complicato gestire altre culture, ma in Francia hanno voluto conformare gli stranieri. Chi arriva in Italia, all’inizio tende a non voler dare troppo nell’occhio perché sa di essere svantaggiato, mentre nel mio Paese di origine non è così e tante persone si comportano con arroganza pensando di avere solo diritti e nessun dovere”.

“L’eccessivo assistenzialismo – evidenzia – è in parte uno dei motivi che ha portato a quello che è successo. La violenza, sia quella dei poliziotti sia quella della gente, non può e non deve essere la riposta ai problemi, non è giustificabile. Da quello che stiamo vedendo, sembra che le tensioni in Francia possano andare avanti per giorni e si sta facendo pressione sul presidente Emmanuel Macron affinché chieda lo stato di emergenza come era avvenuto in passato per i contrasti nelle banlieue nel 2005”.

“Tanti minorenni – conclude -, che temono per il loro futuro, sono stati coinvolti in questa rivolta. Per questo non dobbiamo trascurare di affrontare il problema educativo, perché questi giovani pensano di rivendicare i loro diritti solo con la violenza. La violenza come risposta ai problemi è un totale fallimento educativo e sociale”.

(Foto: Qdpnews.it – Daphné Reguiessé – Aurelien Morissard/Xinhua/IMAGO).
#Qdpnews.it

Total
0
Shares
Articoli correlati