La gestione della fauna tra scienza e politica

La scienza offre conoscenza, compito della politica è usarla per la visione sociale che la caratterizza.

La gestione faunistica è il braccio operativo della biologia della conservazione, branca della biologia nata ormai più di 50 anni fa per dare risposte operative alla crisi ambientale che, già dalla metà degli anni ’60, i biologi avevano cominciato ad avvertire. I primi corsi di laurea cominciarono nella metà degli anni ’70 negli Stati Uniti. Da lì, un crescendo in altri continenti.

La biologia della conservazione, lo dice il nome stesso, si preoccupa di fornire dati e scenari biologici sulle dinamiche di popolazioni di specie selvatiche (non domestiche, selvatiche! Le specie domestiche sono patrimonio scientifico degli zootecnici, la cui formazione viene svolta in un altro corso di laurea).

Dovere degli scienziati è quindi di lavorare per ottenere il maggior numero di dati biologici, di elaborarli e di fornirli ai decisori politici che, in una società democratica, hanno il compito di scegliere lo scenario faunistico che ritengono più opportuno.

La biologia della conservazione è una multidisciplina perché, oltre all’indispensabile conoscenza della biologia specie-specifica (cioè specifica per ogni specie selvatica), prevede la gestione della conoscenza e della complementarietà delle altre discipline scientifiche e umanistiche che concorrono nel fornire ai decisori politici le diverse strategie gestionali applicabili per le diverse specie. È in questa complessità biologica che la politica trova le diverse opzioni di scelte decisionali per rispondere ai diversi fruitori di fauna.

Essendo, per normativa vigente, patrimonio indisponibile dello Stato, il fruitore italiano di fauna (l’aggettivo “selvatica” è una tautologia tutta italiana che caratterizza la nostra dottrina e la nostra giurisprudenza!) è il cittadino nelle sue diverse vesti; agricoltore, allevatore, cacciatore, ambientalista e tutte le altre diverse sfumature zoofile previste dalla cultura faunistica italiana.

Va da sé, quindi, che la gestione faunistica deve saper fornire degli scenari che prevedano la condivisione di spazio e tempo tra le diverse specie selvatiche e suoi diversi fruitori.

La biologia della conservazione, negli ultimi decenni, ha sviluppato strumenti, metodi e metodologie per gestire tali realtà.

La scienza offre conoscenza, compito della politica è usarla per la visione sociale che la caratterizza.

La politica può decidere di reintrodurre una specie in pericolo di estinzione o di eliminare una specie che ritiene “inopportuna”. Nel secondo caso, se la normativa vigente non glielo consente, può sempre decidere di modificare la norma, è un’opzione perseguibile, sono leggi che abbiamo scritto noi, abbiamo la possibilità di modificarle. Il prossimo voto premierà o punirà tali decisioni o tentativi di decisioni.

Quello che invece non possiamo fare è modificare le leggi naturali; non decidere politicamente non ferma certo la dinamica delle popolazioni selvatiche, e l’ingenuità di escludere la scienza da scelte faunistiche decisionali è ormai una scorciatoia che non ci possiamo più permettere visto il dolore pervasivo della recente tragedia che ha colpito tutti noi.

(Foto: Pixabay).
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