La stagione in montagna che dopo il covid non vuole fare più nessuno. I datori di lavoro: “Non è questione di paghe, è che non ci sono candidati”

“Si lavora duro tutti i giorni anche fuori dall’orario dei pasti. Paga discreta, non ottima: straordinari, sabato e domenica inclusi. Luglio e agosto infernali, specie nei weekend, con un flusso di persone continuo che sale fin quassù, ordina qualcosa che nel menù – probabilmente – non c’è e poi se ne va spesso scontenta perché ha pagato troppo per esser stata in un rifugio. La mancia? Mai vista. Nel mio giorno di riposo, che è il mercoledì, scendo in paese per fare due passi, ma non con i colleghi con cui ho fatto amicizia: loro mi sostituiscono mentre non ci sono. In paese non c’è praticamente niente da fare e la gente che viene in vacanza qui non ha la mia età. Ora, dimmi, perché dovrei andare a fare una stagione in montagna invece che al mare?”.

Questa la testimonianza di un ragazzo trevigiano di vent’anni, Alberto, che dopo tre stagioni estive trascorse sulle Dolomiti Bellunesi, dipendente stagionale di un rifugio in alta quota, ha deciso definitivamente di lasciar stare e mirare a Jesolo, alla spiaggia e alle sue luci.

Come lui, molti altri ragazzi e ragazze hanno abbandonato l’idea di scegliere la montagna, o hanno rinunciato proprio a lavorare del tutto. Questo si percepisce anche sentendo i datori di lavoro: evidenziano un problema generazionale, che secondo alcuni si sarebbe aggravato con la pandemia.

In Cadore e a Cortina, la mancanza di lavoratori stagionali è tale che alcune attività opteranno addirittura per ridimensionarsi, servendo, per esempio, solo la colazione. Secondi chef, aiuti cucina, commessi, lavapiatti e camerieri sono le figure più ricercate, ma anche candidati receptionist, baristi, gelatai e altre figure legate ai servizi sono rari.

“Il primo presupposto è che, ammesso che un datore di lavoro sia sempre molto chiaro davanti al nuovo assunto nel descrivere il suo ruolo, le ore di lavoro e il compenso economico – afferma il titolare di un albergo ad Auronzo di Cadore, – la difficoltà si incontra ben prima del colloquio: non è che il candidato non vuole, è che proprio non c’è. Non viene proprio gente a cercar lavoro. Il nostro è un mestiere di sacrifici e, quando è arrivata la pandemia, qualcuno ha scoperto che esistono mestieri più semplici. Certo che c’è chi fa il furbo e paga sotto il minimo salariale, ma le cause non sono queste: è che si fa fatica”.

Il nodo, secondo la titolare di una pizzeria nell’area di Cortina e altri albergatori della sua stessa generazione, sta nel riuscire a trasmettere la passione per il lavoro, la “grinta” e la voglia di realizzarsi economicamente: quella che spingeva loro negli anni ’80 a lavorare per dieci ore al bar, poi cambiare casacca e andare da un’altra parte, poi staccare e andare in discoteca.

“Chi ha vissuto negli anni ’90 è riuscito a ricevere il testimone dalle generazioni precedenti, dal duemila invece c’è uno spartiacque: ai nuovi giovani non si sa davvero come comunicare quanto sia utile e importante approcciarsi al lavoro e quanto sia importante che sia dura, difficile, impegnativa. Una stagione o due possono insegnare tantissimo, spesso più di una scuola”.

“L’altro giorno mi ha chiamato il padre di un mio ex-dipendente – racconta un albergatore, – Mi ha detto che suo figlio non verrà quest’estate. A 17 anni ha deciso di darsi da fare mentre va a scuola e trovarsi un lavoro fisso nel weekend, per realizzarsi economicamente. Ho sempre pensato che la peggior domanda che un dipendente possa fare all’inizio di un colloquio è “quanto mi dai?” Ma ora mancano anche quelli che appena si siedono sulla sedia ti dicono così”.

C’è invece chi ha fatto della stagione in montagna una sorta di vacanza, un’occasione per staccare completamente dallo studio e rimpinzare il conto in banca. “Ogni anno scelgo la stagione in montagna perché il mare è troppo frenetico – racconta Enrico, vent’anni appena compiuti, – Lo stipendio è buono, ma mi conviene soprattutto perché non ho spese: mi ospitano nella struttura dove lavoro e, di questi tempi, fa abbastanza comodo non pagare le bollette. Si incontra tanta gente straniera e nel mio tempo libero faccio piccole escursioni attorno alla mia struttura. Il lavoro è davvero stancante, comunque, e no, non ho nessuna voglia di andare in discoteca quando stacco”.

A rinforzare le fila dell’attività turistica c’è anche la gioventù del posto: alcuni ragazzi e ragazze continuano a lavorare nelle stagioni estive e invernali anche dopo dieci anni dal loro primo impiego.

Un segno di costanza che indica però, in certi casi, anche un ricambio generazionale più lento, che forse crea un cortocircuito con l’evoluzione del mondo del lavoro.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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