“L’horror pestis”del 1348 a Venezia come un deja-vu: Giorgio Palù e Danilo Riponti sui parallelismi tra le pandemie che hanno sconvolto il passato e i giorni nostri

Un filo rosso lungo secoli, una storia di dolore e rinascita quella che è stata raccontata mercoledì 27 ottobre alla Scuola Grande di San Rocco.

Il virologo e presidente dell’Aifa Giorgio Palù ha tessuto insieme all’avvocato Danilo Riponti un intreccio tra passato e attualità sul tema che tanto ci ha destabilizzato, la pandemia.

Ai numerosi ospiti in sala sono arrivati anche i saluti da Governatore Luca Zaia, che ha ricordato che proprio la repubblica di Venezia, nel 1423, costruì il primo lazzaretto della storia e inventò la quarantena.

Dall’approfondimento sotto forma di dialogo, è emerso che la città di Venezia e la sua storia hanno molto più in comune con i giorni nostri di quanto si possa pensare di primo acchito: la Scuola Grande di San Rocco tra l’altro nasce proprio con le pandemie: l’origine della Confraternita e la sua fortuna risiedono appunto nella malattia, rappresentata dal ciclo del Tintoretto che ne impreziosisce gli interni.

L’avvocato ha ricordato che vi sono oltre 30 Madonne a proteggere la città di Venezia, questo perché le pestilenze nel passato erano episodi drammatici che non appartenevano solo al Medioevo e venivano temuti ed esorcizzati.

“Partiamo dalla grande peste del 1348, uno shock culturale per Venezia perché era un fenomeno nuovo. Per la sua novità ha scatenato un horror novi assimilabile ai fatti recenti del Covid” dice Riponti.

La città era diventata una tomba: si passò da 110 mila a 50 mila abitanti, non c’erano strumenti di contrasto e la domanda sorge spontanea: quel terrore del 1300 può avere un parallelismo con lo shock vissuto dal mondo occidentale?

Il professor Palù lo ha confermato: “Già il nome “peste” che ha origine sanscrita, vuol dire “soffio mortale”: da questo si capisce quanta paura scatenasse. Nonostante ciò si evince dalla storia che si tratta di un’evenienza ciclica, che si ripete nel tempo, non dovremmo rimanerne scioccati ma gli uomini la memoria corta”. Chiaro è che è da molto tempo che la civiltà non vive una pandemia di questo livello ma, sottolinea Palù, non è stata niente rispetto alle vecchie pandemie. Perché abbiamo così paura, come se non sapessimo cosa aspettarci? Palù fa una premessa: “È un insieme di cose: si tratta di un flagello che torna dopo quasi 1000 anni, ce ne sono state 3 davvero importanti, la Giustineanea, la peste nera e la peste del 1855 a Hong Kong. Guarda caso sono venute tutte da est”.

Al terrore di oggi, fa sapere Riponti, hanno influito molto i media: nel ‘300 il maggior Consiglio della prima peste decise di nominare tre saggi: 2 medici e un braccio armato, ovvero tre figure di esperti, le uniche fonti di informazione per la società. “Oggi, per lo meno in Italia, non ci sono state figure esperte ma ognuno ha detto la sua creando spesso confusione e contraddizioni, fomentate certo dalla visibilità mediatica”. Questo però è un punto facilmente risolvibile: “L’informazione deve essere più adeguata e più scientifica, va riformata perfezionandola anche a livello istituzionale, altrimenti la società civile non può che essere disorientata” conferma il virologo.

Venezia dopo il 1348 subisce un duro colpo ma poi risorge: nel ‘400 elabora una serie di idee contro le pestilenze che si possono definire fenomenali: istituisce i lazzaretti e i cosiddetti “provveditori alla sanità”: tre esperti con poteri e competenze che attivarono misure innovative e simili all’attualità (per esempio collegano la nettezza urbana ai rischi per la salute, indagano rigorosamente sulle morti per isolare i fenomeni, vengono investiti di poteri per circoscrivere le aree pericolose, vietano feste e riunioni). 

“Tutte queste misure sono state lungimiranti perché tra la prima ondata del ‘48 alla seconda ondata intorno al 1575-77 c’è stata una riduzione della mortalità: meno del 25%.

Erano misure appropriate? Oggi siamo stati all’altezza della Venezia del ‘300?” chiede Riponti.

Palù non fatica a rispondere con schiettezza: “Venezia ha fatto meglio di quello che abbiamo fatto noi in una prima fase”.

“Avevano introdotto subito i moderni lockdown chiudendo le osterie e le chieste, obbligavano a maggiore pulizia in casa e nel frattempo calcolavano i flussi epidemici per capirne la curva epidemiologica. Risulta che nel ‘500 Venezia abbia già acquisito un approccio medico alla peste e con i modesti mezzi di allora ha fatto molto di più di oggi, liberandosi per prima dalla peste in tutta Europa”.

Venezia, in sostanza, nel 1400 aveva già capito, con i lazzaretti, come funzionava il contenimento e cosa poteva essere utile a debellare la malattia. La collettività ha accolto con favore queste misure di isolamento: come mai la società di oggi manifesta invece sensazioni contrastanti? 

Palù fa riferimento ai non vaccinati: “Chi rifiuta i vaccini non è incolto: c’è una grande diffidenza sociale, poca informazione. Il rifiuto nasce da pseudo scienza e da pregiudizi e per l’essere umano è più facile omettere qualcosa che commetterla. Davanti a un problema si scatena il nostro istinto e proprio istintivamente si scappa e non si fa esperienza, quell’esperienza che è utile invece nella Venezia del 1300”.

Non è da dimenticare che ad affiancare i dati scientifici veneziani rimanevano tutte quelle credenze popolari del tutto antiscientifiche, come mangiare la carne di vipera (che pareva uccidere tutti i bacilli dannosi), un atteggiamento che si associa anche ad episodi attuali. È comprensibile anche, ammette il virologo, che con oltre 200 milioni infettati, 5 milioni morti e circa 200 miliardi persi, ci sia stata inizialmente grande  preoccupazione che ha portato i Paesi europei a fare ognuno il fatto il suo, con i conseguenti errori che si trascinano ad oggi a livello di disinformazione e disorganizzazione.

A questo si è collegato Riponti e ha provocato il medico: “Dunque per lei il Green pass ha un valore contando che il suo equivalente a Venezia aveva davvero aiutato a fronteggiare il contenimento?”.

“Il green pass veneziano è stata una grande idea che abbiamo emulato ma concepito diversamente. Uno stratagemma per venire incontro all’incapacità di imporre la vaccinazione obbligatoria. Si parla spesso di libertà di scelta ma qui il tema è il dovere politico, sociale ed economico dove l’interesse del singolo va in secondo piano rispetto a quello della comunità”.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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