Schiavi del cellulare, quando scattare una foto è più importante di salvare una persona

Al giorno d’oggi sembra sia più importante testimoniare una situazione attraverso foto e post sui social invece che viverla veramente. A volte, non riusciamo più a godere appieno di un’esperienza perché siamo condizionati dal bisogno impellente di documentare quanto ci sta accadendo, per condividerlo nelle piazze virtuali senza essere in grado di spiegarlo bene a chi ci sta accanto. Sono gli effetti della “rivoluzione tecnologica” e digitale, che sta interessando soprattutto le nuove generazioni ma anche molti adulti.

Allora non è raro imbattersi in ragazzi che, anche se sono seduti vicini, comunicano con messaggi su WhatsApp, persone che camminano con il volto incollato allo schermo del cellulare e individui che, pur di scattare una foto o un video, rischiano incidenti in auto o in bicicletta.

Quello che invita a riflettere, però, è il rischio concreto che una buona fetta della società perda il piacere della contemplazione a causa dell’iperconnessione che, purtroppo, non ci fa essere “connessi con noi stessi”.

Si è arrivati addirittura a dover commentare episodi di cronaca con persone travolte da un’auto mentre chi era alla guida stava facendo una diretta su Instagram o, come nel caso dell’anziano caduto nel Brenta a Dolo, di gente che, invece di aiutare una persona in difficoltà, si è limitata a scattare foto o video con il telefono.

I giovani, spesso bistrattati dagli adulti, possono essere anche un modello da seguire. È davvero giusto incolparli se cercano di comunicare attraverso i social e le nuove tecnologie? In molti casi questo è il risultato della solitudine che vivono e della situazione in cui molti genitori, a causa di impegni di lavoro, delegano a “baby sitter tecnologiche” la compagnia per i loro figli.

La vicenda in questione ha visto come protagonisti Marco Carraro, 16 anni di Camponogara, e Nicolò Gomiero, 17enne di Sambruson. Di ritorno da scuola, i due giovani hanno notato un anziano precipitare nelle acque del Brenta a Dolo dopo aver battuto la testa sul cemento ai lati del fiume.

Senza pensarci troppo, Marco e Nicolò, allievi della scuola “Boxe Riviera del Brenta”, si sono tolti scarpe e maglia tuffandosi nel fiume per salvare l’uomo (in foto). Fortunatamente, sono riusciti ad afferrarlo per le gambe e a spingerlo a riva, dove altri passanti sono riusciti a tirarlo su prendendolo per le braccia.

“Se non ci fossimo fiondati nell’acqua – si legge in una loro testimonianza – temevamo sarebbe morto. Anche perché nel frattempo tutti gli altri testimoni hanno pensato soltanto a prendere il telefono per far foto e video, quindi non crediamo che qualcun altro avrebbe tentato di salvarlo”.

Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha voluto commentare con queste parole il loro gesto di coraggio e grande umanità: “Un encomio a loro che, nonostante la giovane età, non hanno esitato a compiere un atto di grande eroismo e generosità, certamente d’esempio per tutti”.

Questa storia dimostra che nei giovani di oggi c’è tanto bene da valorizzare, spetta al mondo degli adulti capire come.

(Foto: Corriere del Veneto).
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