Verso la Mostra del cinema di Venezia: le dive e la nascita del bikini, una battaglia sociale “a colpi di centimetri”

Inizierà oggi, mercoledì 30 agosto, l’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, la tradizionale kermesse che vede un connubio tra pellicole cinematografiche, glamour e red carpet, nello scenografico paesaggio del Lido di Venezia, fino al prossimo 9 settembre.

Un appuntamento ogni anno molto atteso, che non può non far pensare ai tempi delle vere e grandi dive del cinema, che facevano il loro ingresso trionfale in Laguna, facendosi immortalare spesso e volentieri in bikini, di fronte all’obiettivo dei fotografi.

Ancora oggi resta negli annali di moda il caso dell’attrice britannica Diana Dors (nota per aver “prestato” il proprio volto alla copertina di un disco dei Beatles), la quale nel 1955 arrivò al Lido di Venezia a bordo di una gondola, indossando un bikini di visone.

Ma quando nacque il bikini e, soprattutto, che impatto ebbe a livello sociale?

Dai primi costumi in epoca romana alle abitudini marinare dell’Ottocento

Ancora oggi è visibile il mosaico romano risalente al IV secolo d.C. in Villa Casale, a Piazza Armerina, un Comune siciliano in provincia di Enna.

Mosaico che immortala delle fanciulle intente a giocare a palla e a fare esercizio fisico, indossando ciò che noi riconosciamo come un due pezzi: si trattava, invece, dell’abbigliamento sportivo utilizzato all’epoca.

Per secoli, infatti, non ci fu l’abitudine di fare il bagno in mare, a lungo considerato un luogo pericoloso, fonte di malattie e di raffreddamenti del corpo, che in passato potevano anche essere fatali, visti gli scarsi mezzi a disposizione per curarli.

Le vacanze, inoltre, venivano solitamente fatte in luoghi campestri.

Solo nel Settecento qualcosa iniziò a smuoversi, con la credenza che il sole potesse avere invece dei benefici curativi di fronte a determinate patologie.

Per questo motivo fu così che i benestanti e i reali iniziarono a frequentare i luoghi di mare, cosa però che non consentì nessuna libertà, in fatto di vestiario, alle donne, costrette a non mostrare neppure un centimetro di pelle, per non dare scandalo.

Potevano indossare soltanto abiti più leggeri, anche per entrare in acqua (erano ancora in pochi, a quel tempo, coloro che sapevano nuotare).

A metà Ottocento lo sviluppo della ferrovia favorì, anche all’estero, la volontà delle classi più abbienti di raggiungere le località di mare, sebbene non ancora attrezzate.

In Inghilterra le donne, che desideravano fare il bagno, entravano nelle “bathing machines”, delle cabine trainate in acqua dai cavalli, all’interno delle quali si cambiavano, indossando “gli abiti da mare”. La cabina, poi, giunta ad un certo punto si apriva, per consentire di fare il bagno, lontano da occhi indiscreti.

Le novità del Novecento e l’avvento del bikini, tra divieti, multe e scatti famosi

Il vero cambiamento arrivò agli inizi del Novecento, grazie alla nuotatrice australiana Annette Kellermann, la prima a indossare un costume intero attillato, che lasciava scoperte e libere braccia e cosce. Tutto per migliorare i risultati sportivi e muoversi in acqua con maggior disinvoltura.

Kellermann venne arrestata su una spiaggia di Boston, ma sta di fatto che il suo gesto lanciò il costume intero, rendendo più accessibile il nuoto, come sport, alle donne.

Intanto, tra gli anni ’10 e ’20 l’aristocrazia e l’alta borghesia iniziò a frequentare in misura maggiore le località della costa, specie quella francese.

Il cambio di abitudini segnò quindi un cambio di passo anche nella moda, che si adeguò, progettando i primi costumi da bagno (diversi dal costume della Kellermann), costituiti da lunghi pantaloni e camiciole a maniche lunghe per le donne.

Anche stavolta fu un volto noto dell’epoca a cambiare le cose: la stilista Coco Chanel non solo si fece vedere in villeggiatura (sulla costa francese ma anche al Lido di Venezia) con costumi da bagno più scollati e pantaloncini sopra al ginocchio, lanciando anche la moda della tintarella.

La svolta avvenne in seguito nel 1932, grazie a Jacques Heim, sarto parigino che creò un costume da bagno a due pezzi, chiamato Atome, con lo slip che copriva l’ombelico.

Modello a cui seguì il bikini, così come lo conosciamo noi oggi, inventato dallo stilista parigino Louis Réard. Il nuovo costume lasciava scoperto l’ombelico, consentendo così alle donne di potersi abbronzare anche la pancia.

Si legava con dei laccetti e venne presentato il 5 luglio 1946. Tuttavia venne ritenuto un modello talmente audace, che accettò di indossarlo e di fare da modella soltanto Micheline Bernardini, di professione spogliarellista.

Considerato l’impatto “esplosivo” che questo costume da bagno avrebbe potenzialmente potuto avere, il nome bikini venne dato in riferimento all’atollo di Bikini, dove gli americani quattro giorni prima avevano fatto esplodere una bomba atomica sperimentale.

E la reazione non si fece attendere: in Italia, Spagna e Belgio il bikini venne vietato, tanto che polizia e vigili urbani, “armati” di metro, erano pronti a multare coloro che ritenevano così essere delle donne disinibite, solo per il fatto di indossare il modello dello stilista parigino. Intanto, negli Stati Uniti le dive del cinema si facevano immortalare in due pezzi.

In Europa, invece, il bikini decollò ancora una volta grazie a un volto noto, stavolta del cinema: fu l’allora poco nota Brigitte Bardot colei che nel 1953, al Festival di Cannes, dove era andata con il marito-regista Roger Vadim, si fece immortalare negli scatti dei fotografi in due pezzi, favorendo così la diffusione del modello.

Due pezzi che indossò anche nel 1956, nel film “Piace a troppi” o durante le vacanze a Saint Tropez, facendo sì che il modello si potesse acquistare senza più dare scandalo o rischiare delle multe.

Una moda che si stabilizzò negli anni successivi, grazie alle riviste e al grande schermo: indimenticabile l’uscita dall’acqua, in un bikini bianco immacolato, di Ursula Andress, nel film “Licenza di uccidere” del 1962, all’interno della fortunata serie di pellicole dedicate all’agente 007. E neppure le classi alte della società rinunciarono a questa moda, basti pensare alla principessa Margaret d’Inghilterra, immortalata dai fotografi a Porto Cervo nel 1967.

Una moda arrivata fino ai giorni nostri, con tutte le sue varianti, la cui storia ci mostra quanto il suo avvento coincise con una maggiore libertà sociale per le donne.

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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