L’emancipazione femminile è passata anche attraverso la possibilità di stravolgere le convenzioni in fatto di vestiario: la storia dei pantaloni ne è un esempio.
Una storia che ha toccato da vicino anche la nostra regione, come ha evidenziato la Biblioteca civica di Belluno che, direttamente sulla propria pagina social, ha voluto diffondere e condividere quanto fosse difficile per una donna degli anni cinquanta poter decidere di indossare un paio di pantaloni, senza essere criticata o disprezzata.
La disapprovazione della Chiesa verso le “ragazze sfacciatelle” con i pantaloni
Secondo quanto riferito dalla stessa biblioteca civica, negli anni Cinquanta la Chiesa, anche nel Bellunese, disapprovava l’utilizzo di questo capo dalle donne, a eccezione di situazioni come la pratica di sport sulla neve e alpinismo: situazioni, quindi, in cui l’impiego di questo tipo di abbigliamento risultava “sopportabile”.
A tal proposito, il periodico “L’amico del popolo” nel numero del 14 marzo 1953 espresse una certa preoccupazione per la confusione tra i sessi, che una donna con i pantaloni avrebbe potuto creare.
Coloro che abbandonavano la gonna a favore dei pantaloni, nel giornale venivano definite delle “ragazze sfacciatelle”, colpevoli di dare pubblicamente uno “spettacolo indecoroso, antiestetico, immorale”. In sostanza le donne, così facendo secondo il periodico, avrebbero creato disordine: venivano prese di mira, additate come quelle che “in altri periodi di tempo” andavano “mezze nude (per amore della moda)”.
Risulta chiaro che, fino ad allora, di norma i pantaloni erano indossati solamente dagli uomini, coloro che detenevano maggiori diritti e possibilità di comando: tale capo di abbigliamento costituiva, quindi, una potenziale minaccia a un equilibrio già consolidato e indossarlo era ritenuto immorale.
C’è chi ancora ricorda quanto i pantaloni non fossero accettati neppure nelle aule scolastiche, tanto che più di una famiglia optava per chiedere al medico un certificato, nel quale il loro utilizzo veniva giustificato con esigenze di salute.
La storia dei pantaloni, dai primi esemplari ai giorni nostri
Gli antenati dei pantaloni risalgono a quasi 2 mila anni fa: fu un’invenzione dei nomadi delle steppe euroasiatiche, i quali, muovendosi molto a cavallo, necessitavano di trovare un capo di abbigliamento che risultasse comodo e resistente. Così inventarono dei robusti gambali, indossati da uomini e donne.
Un’invenzione poi adottata dagli antichi romani, a seguito del loro “incontro” con i guerrieri del Nord: fanciulle e matrone vennero escluse dall’uso di questo vestiario. Divieto che, a quanto pare, fu destinato a durare per molto tempo, legando il mondo femminile alle gonne lunghe.
A precorrere i tempi fu Giovanna D’Arco, che per tutta la sua vita indossò abiti da uomo. All’epoca della corte francese di Caterina de’ Medici, nel 16esimo secolo, fecero invece capolino le “braghesse”, utili specialmente per andare a cavallo.
Ai primi dell’Ottocento le donne iniziarono a utilizzare i pantaloni come atto di denuncia e di provocazione, nonché come manifesto di indipendenza e rivendicazione di pari diritti.
I primi movimenti per l’emancipazione sollevarono il problema della scomodità dei costumi tradizionali, ma anche l’avvento dell’industrializzazione nel Regno Unito fece sì che in alcune occasioni le operaie utilizzassero i pantaloni.
Sta di fatto, però, che eccezioni a parte, per la donna era impossibile circolare con questo capo, con il quale non era neppure consentito l’accesso in chiesa.
Le cose cambiano con l’avvento delle due guerre e il successo del cinema americano
Venne invece accettato con l’avvento delle grandi guerre, quando le donne presero il posto degli uomini (impegnati al fronte) in fabbrica.
A dare una mano nello sdoganare i pantaloni per le donne, fu il cinema americano, con dive come Marlene Dietrich e Katharine Hepburn.
Bisognerà però attendere gli anni Settanta perché i pantaloni vengano accettati per le donne, grazie al successo dei jeans e il movimento hippie: da allora diventarono un capo idoneo per entrambi i sessi in tutta Europa.
(Foto: Web).
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