“La verità? Un termine che non userò mai”: Milena Gabanelli a Trichiana, paese del libro

“Troppo spesso mi viene appiccicato addosso il termine “verità”: io dubito fortemente di tutto quello che ho scritto e che ho raccontato. Il mio lavoro è quello di mettere assieme le informazioni, nel modo più oggettivo e obiettivo possibile. È possibile che le informazioni a mia disposizione non corrispondano alla verità come termine assoluto. Io questo non lo so ed è per questo che questa parola non uscirà mai dalla mia bocca”.

Esordisce così, in una chiesa di Trichiana gremita e circondata dalla tempesta, la celebre giornalista, autrice e conduttrice televisiva Milena Gabanelli, conosciuta dal grande pubblico per la sua trasmissione Report, che ha condotto per vent’anni, prima di passare il testimone e passare al Corriere della Sera, con la sua rubrica “Dataroom”. 

Milena Gabanelli a Trichiana – Intervista di Luca Vecellio


È stata lei ad aprire il Festival “Trichiana, paese del libro”, che vedrà da qui a fine mese una serie di incontri culturali organizzati per riportare in Valbelluna l’amore per i libri e per, diciamo, le storie scritte con passione. Quella stessa passione che alla Gabanelli, stando ai suoi racconti di carriera, non è mai mancata, nemmeno all’inizio della sua carriera.

A dialogare con lei c’era Adriana Lotto, presidente dell’Associazione Tina Merlin. Quest’ultima, giornalista d’inchiesta che è stata tra le più attente osservatrici delle vicende del Vajont, è il personaggio sul quale si è ispirato l’incontro. Erano presenti anche il sindaco di Borgo Valbelluna Stefano Cesa e l’assessore Monica Frapporti.


Si è parlato molto della figura del giornalista e di come questo ruolo sia fondamentale nell’equilibrare il potere, ma anche di quanto poco valore venga attribuito oggi agli articoli di giornale, che il lettore pretende di leggere quanto prima e gratuitamente.

Eppure, secondo la Gabanelli, il futuro imporrebbe una maggiore attenzione verso l’attualità, la politica e i grandi temi della sostenibilità, anche nel giornalismo locale (quello senza contributi statali), che tuttavia non ha modo di trovare le giuste risorse e di conseguenza è costretto anche ad andare incontro agli interessi quotidiani, talvolta superficiali, dei propri lettori. In questo contesto, nel bilanciare qualità e numeri, il discorso sulla verità è particolarmente rilevante e la giornalista ha avuto modo di approfondirlo.

“Tutte le volte che sono andata a fondo, in realtà le cose non erano proprio come le avevo immaginate. Erano anche in un altro modo. Insomma, c’è sempre una parte mancante, c’è sempre un aspetto che può essere raccontato in un altro modo, mostrato sotto un’altra luce. Quindi no, non mi sentirete mai parlare di verità assoluta” ha affermato nel suo primo intervento la giornalista.

Per costruire un’inchiesta possono volerci dei mesi, degli anni, e per riuscirci servono persone con una grande capacità fisica, perché è un lavoro logorante e rischioso”. Non a caso, la giornalista ha dovuto affrontare un notevole numero di cause, talvolta riportate probabilmente con un fine intimidatorio.

“Per me è diventata un’ossessione – ha detto, dopo aver raccontato del suo bizzarro esordio a Rai 3 – Ho fatto tutti i gradini, uno alla volta, partendo dal più basso. Report poi è nato da un programma sperimentale che avevo iniziato da sola, nel 1991, introducendo un modello di giornalismo che in Italia ancora non era arrivato. 

Era il giornalista a costruire da solo l’inchiesta: a quel tempo per far sì che funzionasse i contenuti dovevano essere piuttosto forti, ma al contempo era possibile sviluppare delle video inchieste senza i costi di una troupe. Nel 1997 ho proposto di fare un programma di inchiesta di mezz’ora.

Era l’unico in Italia in quel momento e aveva un budget risicatissimo. La volontà era tale che siamo riusciti ad avere subito i risultati necessari per crescere. Ha sempre avuto un gran ricambio generazionale, non siamo rimasti i sei che eravamo. Bisogna solo selezionare le persone giuste. Sono felice che ora il programma abbia un seguito”. 

Ai giovani, considerato l’esempio di Tina Merlin, la Gabanelli ha detto: “Di fronte a un giovane che volesse intraprendere questo mestiere, consiglierei una vita meno pesante rispetto alla mia. Mi verrebbe da dire di cercare il genere di giornalismo che appassiona di più e di affinarsi il più possibile, ma soprattutto di non demordere mai. Non ho mai incontrato nessuno che, impegnandosi a fondo e a lungo per raggiungere quello che vuole fare nella vita, alla fine non venga premiato”.

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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